Non è colpa dei pm se i partiti li candidano (e nominano)

giovedì 17 febbraio 2022


Il primo e forse unico provvedimento da prendere per evitare che continui in eterno il notorio fenomeno delle cosiddette “porte girevoli” tra politica e magistratura è di una ovvietà così evidente che solo un argomentatore idiota o in malafede potrebbe non intuirlo: evitare di candidare i magistrati in Parlamento, nei Consigli regionali o come sindaci delle città. E se si volesse anche risolvere l’incredibile conflitto di interessi con gli incarichi governativi e legislativi sempre gestiti dalle toghe, ecco pronto un altro provvedimento – politico, non legislativo – da prendere, di immediata comprensione: non li si nomina più. Parafrasando il Marchese del Grillo: “Io la candidatura non te la fornisco e tu in Parlamento non ci vai”.

Se la politica tornasse a prendersi le proprie responsabilità, dall’oggi al domani potrebbe fare suonare la campanella di fine ricreazione: in Parlamento i pm di assalto non ci vanno più, perché i partiti non li candidano nei ministeri o nei gabinetti particolari dei vari ministri, così come al Coni o alla Figc. I magistrati amministrativi di cui parla Sergio Rizzo nel suo ultimo libro non ci sarebbero più, semplicemente perché “altre nomine sono possibili”. Quali? Ad esempio, quelle dei professori di Diritto amministrativo o di singoli funzionari dello Stato opportunamente addestrati all’uopo, magari da una scuola di formazione che potrebbe un giorno tendere ad assomigliare a quella francese.

Senza sobbarcarsi nuove estenuanti leggi e riforme – sempre in predicato di venire giudicate incostituzionali su input degli stessi magistrati che dovrebbero auto-applicarsele – basterebbe un tocco di bacchetta magica da parte della politica e tutto sarebbe più facile: “Tu i magistrati non li candidi e non li nomini e loro in Parlamento e negli Enti governativi nazionali o locali o nei posti chiave della giustizia sportiva semplicemente non ci metteranno più piede”. Tutto questo per sottolineare l’ipocrisia di chi si lamenta delle porte girevoli che poi confeziona nella propria fabbrica politica. E se vale uno per i partiti di sinistra che di queste candidature politiche dei pm resi famosi dalle loro inchieste – anche quando sballate – detiene il copyright, vale due, se non tre o quattro, per i partiti di centrodestra che a questa logica dicono di opporsi. Prendiamo l’esempio recente più clamoroso, la candidatura di un pm antimafia da parte del centrodestra a sindaco di Napoli. Perché farlo? Si voleva fare vedere gli elettori di sinistra che anche quelli di centrodestra, e persino di estrema destra, sono “così antimafia che più antimafia non si può”?

“Nemmeno con l’ammollo”? Fatto sta che il pm in questione è uscito sconfitto – ergo l’argomentazione inconfessabile a monte è stata smentita o smontata – e adesso arriva l’effetto collaterale: non solo fa il capo dell’opposizione a Napoli ma ha ottenuto anche dal Consiglio superiore della magistratura, sempre di manica larga, di potere fare il pm in Molise. Cioè lontano dal vecchio distretto di corte di appello che era proprio Napoli. Un capolavoro: nei giorni pari è pm in Molise, in quelli dispari il capo dell’opposizione in Campania. Ma gli autori sono i leader del centrodestra attuale, che lo hanno accettato o voluto come candidato alle scorse Amministrative. Una bella bandierina. Che però adesso si è piantata nel posto sbagliato.


di Dimitri Buffa