Centristi e centrini

giovedì 10 febbraio 2022


Dalla scomparsa della Democrazia Cristiana ritorna come un fiume carsico a ogni stagione politica la voglia di centro, ovvero l’intenzione o l’illusione, dipende dai punti di vista, di costruire un nuovo partito centrista. Periodicamente, emerge la tentazione di fondere le sigle partitiche di quel mondo distinto dalla destra e dalla sinistra, e sempre piuttosto sparpagliato e balcanizzato, nella speranza di ricreare un centro politico capace di divenire via via dominante e in buona parte simile alla vecchia Balena bianca democristiana.

Negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica, nonostante vi fosse un bipolarismo più netto rispetto a oggi, appena la leadership di Silvio Berlusconi iniziava un poco a vacillare, per le diverse grane che caratterizzarono quel tempo, o l’allora Ulivo si attorcigliava su se stesso a causa di liti interne e sgambetti vari a Romano Prodi, uscivano immediatamente allo scoperto i fautori di un, a loro dire, necessario terzo polo. I vari tentativi in questo senso non ebbero mai grande riscontro popolare ed elettorale, al di fuori dei salotti politici e televisivi.

Poi fu la volta di Mario Monti e del suo Governo tecnico. In quella fase i bisognosi di centro si ringalluzzirono decisamente, brigando per la nascita di un ampio contenitore centrista attorno alla figura dell’ex Commissario europeo, il quale peraltro mise in piedi una creatura politica tutta sua, Scelta Civica, salvo poi abbandonarla al proprio destino poco dopo. Quel fermento diede soltanto frutti amari ai diretti interessati. Monti fu l’unico a non rimanere proprio con le mani vuote, conquistando la poltrona a vita di senatore. Per il resto, Scelta Civica non ebbe vita lunga, costringendo i propri esponenti a individuare poi altre sistemazioni. L’Unione dei Democratici cristiani e di Centro di Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa si ridusse ai minimi termini, e Gianfranco Fini, trasformatosi da leader di destra ad assertore del centrismo montiano, fu addirittura obbligato a concludere in anticipo la propria carriera politica.

Oggi, con l’altro Mario a Palazzo Chigi, pare ci si voglia muovere pressappoco come ai tempi dell’uomo con il loden. In alcuni settori del panorama politico è forte la tentazione di aggrapparsi quasi a vita alla personalità di Mario Draghi e di provare a costituire, dopo varie fusioni di partiti e movimenti, una aggregazione centrista capace di perpetuarsi al Governo del Paese a tempo indeterminato. La possibilità che anche questa volta si faccia un buco nell’acqua è assai concreta. Alcuni aspetti dell’attuale fase politica sembrano in effetti deporre a favore di una ammucchiata centrista, potenzialmente in grado di fare il bello e il cattivo tempo. C’è aria di ritorno a una legge elettorale proporzionale pura, il ruolo di Draghi non è ancora del tutto logorato, nonostante la probabile delusione della mancata conquista del Quirinale, e le teoriche coalizioni di centrodestra e di centrosinistra sono a pezzi.

Il centrodestra, già divisosi all’avvento di questo Governo, è letteralmente imploso dinanzi alla riconferma di Sergio Mattarella. I fronti sono ormai due: da una parte Fratelli d’Italia e dall’altra, per così dire, i governativi, Lega, Forza Italia e gruppi centristi. Ma anche fra i partiti di centrodestra che appoggiano Draghi non scorre sempre buon sangue, viste le recenti critiche di Matteo Salvini rivolte agli amici di Giovanni Toti per il loro comportamento tenuto durante l’elezione del Presidente della Repubblica.

Il Partito Democratico, dal canto suo, confidava, oltre alla piccola pattuglia di Liberi e Uguali, nel Movimento Cinque Stelle, ma la caduta nel limbo della leadership di Giuseppe Conte, a opera del Tribunale di Napoli, sta complicando l’esistenza ai pentastellati, come ha ammesso lo stesso Beppe Grillo. Tuttavia, chi si sta dando da fare per un nuovo partito di centro, (sicuramente Toti e i suoi, Matteo Renzi, gli evergreen Casini e Clemente Mastella, forse Carlo Calenda e forse, purtroppo, almeno una parte di Forza Italia), non gode di migliore salute politica rispetto, per esempio, a Salvini e Conte. Anzi, rischia di unire soltanto delle debolezze e dei partitini con numeri elettorali da prefisso telefonico. A volte capita addirittura che determinate e piccole formazioni ottengano maggiore consenso in solitudine, piuttosto che confuse e sciolte in raffazzonati cartelli elettorali. Del resto, se ci si unisce senza un collante ideale riconoscibile e solo per bramosia di potere, non si fa molta strada e si rischia di finire come i pro-Monti di un decennio fa. Certo, si spera nel proporzionale e nel ritorno di fatto alla Prima Repubblica, ma la legge elettorale, sia essa più maggioritaria o più proporzionale, determina solo parzialmente la natura del quadro partitico.

Ci vuole anche altro, ossia la sintonia con la pancia del Paese e i voti, vitali in qualsiasi equilibrio, più o meno bipolare. Fenomeni come il cinquantennio democristiano e pure il ventennio berlusconiano, anche se Silvio Berlusconi durante i suoi anni migliori non governò ininterrottamente l’Italia come la Dc, rimangono irripetibili. Giova ricordare, in conclusione, come sia la Democrazia Cristiana che il berlusconismo siano stati soprattutto centrali per la politica italiana, più che centristi.


di Roberto Penna