Post-elezioni, se le cose cambiano

martedì 1 febbraio 2022


Sarà anche di poco ma le cose cambiano. È sempre stato così e sempre sarà dopo ogni elezione. E, soprattutto, dopo ogni elezione di un Presidente della Repubblica. Mai come in questa occasione gli sguardi dei media internazionali si sono concentrati sul “dopo” con, anche, qualche patema d‘animo non del tutto giustificato. È lo stesso per i nostri quotidiani che vanno per la maggiore, a cominciare dal “Corriere della Sera” che, tramite Paolo Mieli, ci relaziona su vincitori e vinti su chi in prima persona ma prudentemente, su chi ci ha messo la faccia e su chi ha preso lucciole per lanterne, vedi il caso Giuseppe Conte (non è la prima volta ma, si dice, l’ultima). E, infine, su chi stava alla finestra come Enrico Letta e Giorgia Meloni che “hanno potuto così giocare di rimessa, sicché nessuno dei due si è visto costretto a esporre e sacrificare un proprio candidato. Forza Italia addirittura festeggia”. Il meno che si possa dire di Conte è che non gli sia bastato un anno o due per entrare nel gioco della grande politica senza ferite ma, di certo, la reazione di Luigi Di Maio la dice lunga sull’agenda dell’uno e dell’altro, mentre si avvicinano le non poche insidie dell’anno che verrà.

Quanto a suspense nel mondo che continua a guardarci da settimane, vale la pena ricordare l’americano New York Times da qualcuno definito il “guardiano della oscillante democrazia italiana”. Democrazia che, secondo l’autorevole quotidiano, viaggia comunque in direzione di una meta non sgradita agli osservatori internazionali: il grande centro. Cosicché è per molti versi scontato che le cose cambino ed è anche prevista una scossa non lieve in quel Movimento Cinque Stelle che ha perso, tant’è vero “che c‘è una sola cosa che al momento mette d’accordo le due tribù del M5S, i contiani e i dimaiani. Stavolta bisogna andare fino in fondo, perché così è impossibile andare avanti”.

Ma anche per Matteo Salvini ci sarà qualche scossone, sia pure occultato da personaggi vari, ma non può non essere giudicata negativamente dall’inside che conta nel suo partito una sensibile diminuzione di capacità e di velocità. E di consensi. Il punto vero è che questo passaggio, ritenuto da più parti indolore e senza notevoli scossoni, è stato una sorta di elezioni anticipate, mettendo in risalto non tanto o non soltanto inadeguatezze ed errori soprattutto, come si è scritto, del M5S ma, per dirla con Alberto Moravia, un’ulteriore conferma di quelle ambizioni sbagliate, a maggior ragione rivelate ad altissima voce urbe et orbi, che sono state la specialità negativa di Matteo Salvini.

E mentre da più parti s’alza la voce che l’assenza al suo fianco di Silvio Berlusconi abbia depotenziato lui in uno stabile centro politico a destra, ne pare una specie di redde rationem la riapparizione – non a caso non formale ma sostanziale politicamente – di una Democrazia Cristiana da quella che fu la sua insostituibile funzione di centro che, di volta in volta, “guarda a sinistra o a destra ma sempre funzionale a una centralità” di cui oggi il sistema politico corre il rischio di non vederne l’opera equilibratrice. E di fruirne dei vantaggi.


di Paolo Pillitteri