Alla fine sono rimasti i “quaquaraquà”

martedì 1 febbraio 2022


Nel romanzo “Il giorno della civetta”, scritto da Leonardo Sciascia e pubblicato nel 1961, si svolge un dialogo tra un padrino mafioso e un ufficiale dei carabinieri che lo interroga; a suo modo il padrino esprime rispetto nei confronti dell’ufficiale con il seguente brano: “Ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i ruffiani (edulcorato rispetto all’originale) e i quaquaraquà. Pochissimi sono gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. Poi si va ancora più giù: i ruffiani che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre”.

Questa descrizione dell’umanità come la fotografa Sciascia è la rappresentazione del mondo degli uomini che non cambia mai nella storia, se non per la diversa inclinazione della piramide che raccoglie questa sparsa umanità. La piramide tende ad aumentare la sua verticalità con una maggiore presenza di “uomini”: sono i momenti straordinari nella storia che hanno cambiato il mondo. L’eccellenza delle qualità morali e intellettuali, il profondo senso di responsabilità di una resa di conto verso il sistema sociale – che sono chiamati a dirigere e a consolidare – si erge come esempio di rispetto degli altri. Ci sono idee, visioni di sistema, un respiro spirituale che contribuisce a formare le società.

Nel decorrere del tempo la presenza di questi “uomini” tende a svanire e a diventare un ricordo, che viene richiamato come una foglia di fico per nascondere l’inconsistenza di una classe politica che ha cancellato l’eredità morale dei padri fondatori, talvolta ricordati a sproposito dopo averli al tempo criticati. Un esempio agghiacciante di questa ipocrita partigianeria è stata la domanda fatta in televisione a un giornalista su come l’ex premier Giuseppe Conte si potrebbe collegare a Giulio Andreotti. La risposta è stata che i padri di Andreotti sono stati Pio XII e Alcide De Gasperi, mentre per Conte sono stati Beppe Grillo e Alfonso Bonafede.

In questa domanda c’è tutta la superficialità e la mancanza di cultura che esprime una classe dirigente inesistente, fatta sempre più da “quaquaraquà” che hanno occupato posti di Governo e decisionali troppo difficile e complicati per il loro standing. La piramide del valore tende a schiacciarsi sui “quaquaraquà” mentre gli “uomini” sembrano spariti e dissolti nella banalità culturale.

Siamo di fronte a una crisi di sistema che viene dimenticata da una crisi politica, che evidenzia le carenze drammatiche di valori e di idee, con un minimo di visione strategica sulle aree di criticità. Il “Recovery plan” si potrebbe fare in un mese, ma la caotica discussione di troppi “quaquaraquà” lo rende un esercizio impossibile. Nella storia il collasso, la crescita delle società, il ruolo e la qualità degli uomini rappresentano un aspetto determinante. I problemi non sono mai né tecnici né economici ma sono sempre e solo problemi di uomini. Lo vediamo tutti i giorni ma sembra proprio che non si voglia capire.

(*) Professore ordinario di Economia aziendale – Università Bocconi


di Fabrizio Pezzani (*)