lunedì 17 gennaio 2022
Andiamo al sodo della vicenda politica che in questi giorni vede protagonista Silvio Berlusconi nella corsa al Quirinale. Se venisse eletto, magari con la maggioranza assoluta degli aventi diritto, ossia con 505 schede dalla quarta votazione in poi, lui, Forza Italia e, per trascinamento, l’intera destra avrebbero non soltanto vinto, ma scritto una pagina indelebile della storia italiana.
La sua elezione aprirebbe una stagione, per così dire, rivoluzionaria, vuoi sul versante degli equilibri schiettamente politici, vuoi su quello istituzionale. In una duplice direzione. Anzitutto nell’esercizio concreto dei poteri che la Costituzione assegna al capo dello Stato, perché sarebbe impensabile che Berlusconi li esercitasse in maniera notarile o che incarnasse una “presidenza laissez-faire”. Specularmente e proprio per il suo concreto atteggiarsi nell’esercizio dei poteri, potrebbe diventare il promotore “forte” di una revisione costituzionale in chiave almeno semi-presidenziale. Riforma, questa, da tempo auspicata da una larghissima maggioranza di forze politiche e culturali, ma mai portata a compimento.
C’è però anche un altro scenario possibile: che i voti non arrivino. E qui il discorso si complica. Se il presidente di Forza Italia scegliesse di andare alla conta in aula e non centrasse l’obiettivo, la debacle sarebbe sotto gli occhi del Paese e la coalizione che lo sostiene ne uscirebbe sostanzialmente lacerata e priva di una guida riconosciuta e sicura. Certo, nell’immediato il giocatore rimarrebbe l’ex Cavaliere, il quale si potrebbe senz’altro accreditare come lo smazzatore di carte in grado di fare eleggere Mario Draghi o altri che, silenziosamente, stanno ambendo alla carica. La sua debolezza, nell’immediato, si trasformerebbe in forza, perché sarebbe di nuovo lui a guidare le scelte della coalizione.
Passata l’elezione, però, il rischio d’implosione del suo partito e della stessa coalizione sarebbe molto elevato e a qual punto la sinistra avrebbe buon gioco per rinsaldare le fila e affilare i coltelli in vista del voto nazionale. Così come lo avrebbero alcuni gruppi centristi, da Italia Viva a Coraggio Italia che, pur disposti a votare al Quirinale un candidato di destra, hanno già dichiarato di non appoggiare la candidatura di Berlusconi.
Di qui il bivio in mezzo al quale ora l’ex premier si trova e al quale Matteo Salvini e Giorgia Meloni lo hanno accompagnato: scegliere se andare alla conta in aula, appunto, o ritirarsi anticipatamente.
Intendiamoci, la candidatura è stata offerta in totale buona fede, per riconoscenza e stima, ma forse senza una valutazione adeguata dei rischi. Se Berlusconi sbagliasse anticipatamente i conti o gli stessi Salvini e Meloni avessero, nelle loro file e a loro insaputa, una nutrita pattuglia di franchi tiratori, la frittata si consumerebbe senza possibilità di rimedio.
Come ne uscirà il vecchio leone, allora? Dagli attacchi dei franchi tiratori non potrà schermarsi fino in fondo. Quel che potrà fare è affidarsi al suo innato fiuto e ascoltare i suoi più fidati amici, non solo quelli più esuberanti, ma anche e forse soprattutto i più pacati, a iniziare da Gianni Letta, anch’egli dal fiuto raffinatissimo. E tessitore instancabile.
di Alessandro Giovannini