Incongruenze logiche nella lotta al Covid

giovedì 13 gennaio 2022


Nella storia infinita del Covid ho capito ben poco; d’altronde anche i numerosi zanzarologi, divenuti star o starlette televisive, non mostrano di avere le idee chiare. Una cosa però mi pare certa e indiscutibile: che questo virus, con varianti plurime e indeterminate, è destinato a perdurare. Tutto il mondo sembra che se ne sia reso conto, tranne l’Italia; beninteso l’Italia ufficiale dei Palazzi, sempre più contrapposta all’Italia che lavora e produce. La parola “emergenza” esiste solo in Italia, tutti gli altri Paesi hanno capito che non di emergenza pandemica si tratta, bensì di una situazione duratura che si avvia all’endemia. Ma se il virus si fa endemico (più contagioso, ma meno letale), come opina tutto il mondo, si può pensare di vivere in situazione di “emergenza” perenne? Con mascherine all’aperto, Green pass più o meno rafforzati, regioni a colori, vaccini obbligatori, validi 4 mesi, assistenza medica domiciliare inesistente e perfino vietata, scuole chiuse? Usque tandem il medico di base potrà o dovrà prescrivere, a distanza s’intende, “paracetamolo e vigile attesa”, anziché prestare le cure domiciliari necessarie? E fin quando dovremo sorbirci la litania che l’unico rimedio possibile è il “vaccino” eretto a provvidenza divina, tuttavia ben poco duraturo? Il professor Massimo Galli, a quanto pare, non è stato salvato dal “paracetamolo” e pare nemmeno dal vaccino.

Non credo occorra una grande competenza scientifica, per capire che non si può vaccinare e rivaccinare l’intera popolazione ogni 4 mesi. Ciò che per Pfizer è un sogno a me pare un incubo. Sicché mi sembra di vivere in mezzo ai pazzi e sarei indotto a dubitare del mio stesso equilibrio mentale, se non trovassi conforto nella compagnia di qualcun altro, più autorevole di me, che la pensa alla stessa maniera. Anche il professor Franco Battaglia esprime il suo disagio nel constatare che la numerosa e rumorosa comunità dei “pazzi” non vuole leggere i dati numerici sotto gli occhi di tutti, i quali ci dicono che la grande performance dell’Italia “chiusurista”, che s’impanca a prima della classe, è inferiore a quella dei Paesi nei quali la libertà dei cittadini non è stata sottoposta a restrizioni tanto pesanti.

Provo allora a evidenziare alcune pazzie italiane, e solo – o in special modo – italiane, emerse in tempi di Covid. Bisogna premettere che Il pazzo, per definizione, ha sempre ragione e non ammetterà mai di avere sbagliato, nemmeno di fronte all’evidenza; e se un giorno dovrà ammettere B, avendo dichiarato A il giorno prima, dirà che la situazione del giorno prima era diversa da quella del giorno dopo, oppure che B non è diverso da A. E, nei casi estremi, codesto pazzo farà come il “bue che dice cornuto all’asino”, pur di avere sempre ragione. Mi scuso della premessa, ma era necessaria; e veniamo al dunque.

Ricorderete che fu coniato il termine “negazionista”, per vilipendere chiunque avesse osato mettere in dubbio la verità “assoluta”, il Verbo pronunciato dal Comitato tecnico-scientifico, autoproclamatosi “comunità scientifica” tout court. Ma chi furono, in verità, i proto-negazionisti? Chi per primo negò la pericolosità o addirittura l’esistenza del virus? Ne ricordo tre: i primi due negarono il pericolo pandemico per esterofilia “politicamente corretta”; il terzo per supponenza intellettuale. Era sgradevole dire che il virus provenisse dalla Cina e così l’esibita frequentazione di ambienti cinesi divenne una specie di “medaglia al valore”. Il primo a fregiarsi il petto di cotanta medaglia fu l’allora segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, che volle essere ripreso e immortalato tronfio, mentre beveva il suo boccale di birra, in nutrita compagnia italiana ed estera. Voleva dimostrare che il pericolo virus non esisteva. Ma anche il presidente Sergio Mattarella ritenne opportuno “esorcizzare” il presunto pericolo cinese, temendo chissà quale latente razzismo dei cittadini italiani, e fece visita a una scolaresca con bimbi cinesi, più volte accarezzati paternamente.  Anch’egli voleva dimostrare che il pericolo proveniente dalla Cina non esisteva. E che dire del professor Roberto Burioni, il quale sostenne, con la consueta dose di sicumera, che il pericolo di diffusione del virus cinese in Italia era “pari a zero”? È inutile aggiungere che il giorno dopo i proto-negazionisti rinnegarono la negazione del giorno prima. Ma la rinnegarono silenziosamente, senza farne alcuna menzione, mai peraltro richiesta dall’attenta stampa di regime.

Si può segnalare un’altra singolare inversione a U”, mai esplicitamente ammessa. Ricorderete che la sinistra ideologica ravvisava la più emblematica espressione del “capitalismo selvaggio”, vorace ed egoistico, nell’attività delle case farmaceutiche. Si imputava loro la ricerca del profitto a danno degli infermi; si pretendeva che rinunciassero o cedessero gratuitamente i loro brevetti; esse erano considerate responsabili degli alti tassi di mortalità nei Paesi più poveri. Dava manforte a questa semplicistica narrazione il Papa in persona. Oggi i Big Pharma sono divenuti i salvatori dell’umanità. La loro missione salvifica è divinizzata, al punto che non ci si può chiedere nemmeno se, per ipotesi, in qualche caso, le ragioni del loro bilancio siano difformi da quelle del benessere di ognuno di noi. Dalla demonizzazione alla divinizzazione il passo è stato molto breve. Per chi indossa le lenti della sinistra ideologica, la realtà complessa dei rapporti umani è ridotta al (tutto) Bene o al (tutto) Male; tra il bianco e il nero non c’è posto per altri colori e sfumature; e non c’è posto soprattutto per il dubbio. La “comunità scientifica” si personifica nel farmaco; nel caso di specie, nel vaccino; e chi si pone qualche domanda è immediatamente annoverato tra i No-vax.

Un altro cortocircuito logico è recentissimo. Con l’introduzione del vaccino obbligatorio per i cinquantenni, in Italia siamo riusciti a inventare l’obbligo giuridico, imposto dall’Autorità statale, al quale l’obbligato deve prestare consenso. La logica vuole che il consenso sia manifestato in ambito contrattuale, nel quale la volontà delle due parti è posta sullo stesso piano. Laddove il prestatore e il destinatario del consenso esprimono due volontà aventi forza paritaria, la manifestazione del consenso crea il vincolo giuridico; laddove invece il vincolo giudico nasce ex lege, il consenso non ha ragion d’essere. Ciò è ovvio anche per i bambini. Ma comunque basta chiedere a quelli della mia età che hanno fatto il servizio militare. Feci la vaccinazione tetravalente obbligatoria e non mi fu chiesto alcun consenso. Oggi, invece, per il vaccino obbligatorio si invoca il consenso del vaccinando. Che ipocrisia! Che messinscena! Buona solo a salvaguardare le case farmaceutiche (un tempo descritte come vampiri avidi di sangue) dalle possibili richieste di risarcimento dei danni, in caso di eventi avversi.

Ho citato incongruenze logiche, acrobazie intellettuali e contraddizioni di pensiero molto diverse; tuttavia, a mio avviso, riconducibili a una comune matrice: l’assolutismo ideologico, non dissimile dalla follia collettiva. L’errore fondamentale consiste nel pretendere di “eliminare” il virus; se si accetta, com’è inevitabile, la “convivenza” con il virus, tutto il resto è consequenziale. “Convivere” con il virus significa comprendere che la lotta al Covid non è l’assoluto, al quale sacrificare tutto il resto, e cioè, per essere chiari: la cura delle altre patologie, la didattica scolastica, la vita di relazione, gli eventi sportivi, i viaggi. Tutto il mondo ha scelto la normalità, ripudiando l’emergenza, e sia pure, com’è giusto, una normalità nell’accortezza e nella prudenza. Ma, vivaddio, n-o-r-m-a-l-i-t-à! In Italia, e solo in Italia, le lenti ideologiche della sinistra impediscono di vedere ciò che tutti vedono: la necessità, non più rinviabile, del ritorno alla normalità.


di Michele Gelardi