lunedì 10 gennaio 2022
Le poche notizie serie sulle prossime scelte istituzionali che trapelano dalle stanze romane portano a pensar male. La vera questione sul tappeto pare sia diventata questa: chi sarà o chi potrebbe essere il prossimo inquilino di Palazzo Chigi, in modo da evitare elezioni anticipate?
Già, proprio così, perché il nodo Quirinale sembra aver ceduto il passo al nodo Chigi. Sciogliendo questo, si scioglie anche quello.
Proviamo a capire meglio come stanno le cose, partendo dal Colle più alto. Se Mario Draghi prestasse il consenso alla candidatura, la sua elezione sarebbe scontata. Escludendo la riconferma di Sergio Mattarella, nessuna forza politica sarebbe in grado e avrebbe convenienza a contrastarla seriamente.
D’altra parte, almeno in linea teorica, la “scelta Draghi” toglierebbe le castagne dal fuoco un po’ a tutti i partiti. Non che di eleggibile vi sia solo lui, ma Super Mario riuscirebbe, per un verso, a coagulare un consenso parlamentare più diffuso di quello che altri potrebbero raccogliere; per un altro, ad ottenerne un amplissimo apprezzamento internazionale ed europeo, assai importante in questo periodo storico per il prestigio e il rilancio economico del paese. Dunque, che Draghi faccia pure ingresso nel palazzo dei Papi.
A quel punto, però, chi guiderebbe il Governo di unità o di quasi unità nazionale, sullo schema di quello attuale? E soprattutto: che fine farebbe la legislatura? Sarebbero disposti i parlamentari a votare Draghi alla presidenza della Repubblica senza la garanzia di non andare a casa?
La domanda è retorica e la risposta scontata. Non vorrei apparire pressappochista, ma se si ha il coraggio di guardare il fondo del bicchiere non è difficile accorgersi che le scelte, alla fine, saranno dettate dal fantasma del voto anticipato. E siccome mantenere Draghi alla guida del Governo ed eleggere altri alla presidenza della Repubblica non assicurerebbe affatto la prosecuzione della legislatura, ecco il rovesciamento dello schema: prima si decide Chigi e quindi si mette al sicuro la legislatura, poi si vota Draghi al Quirinale.
Di qui una serie di subordinate che ogni partito sta ponendo sul tavolo: la revisione della legge elettorale in chiave marcatamente proporzionale, incarichi successivi di Governo o incarichi istituzionali, seggi elettorali “blindati” alle prossime elezioni nazionali e via dicendo.
La cosa più significativa di queste ore, però, è il rovesciamento dello schema di gioco. Poi, chi abbia davvero in mano il mazzo non è affatto chiaro. E ancora meno chiaro è chi, tra i politici, potrebbe succedere a Draghi: Luigi Di Maio, Giancarlo Giorgetti, Antonio Tajani, Dario Franceschini? Oppure un tecnico o una figura istituzionale?
La partita è ancora aperta. Deciso lo schema, siamo solo al primo giro di tavolo, ai primi bicchierini di whisky, e la notte, si sa, è lunga. E spesso densa di fumo.
di Alessandro Giovannini