L’ecologismo catastrofista fa danni in nome della salvezza del pianeta

giovedì 18 novembre 2021


L’ecologismo apocalittico che i media occidentali diffondono solo perché fa audience non è solo un’ideologia, smentita dagli scienziati più seri, che sta da tempo terrorizzando e fuorviando con il suo ricatto apocalittico (“salviamo il pianeta dalla imminente catastrofe”) l’opinione pubblica occidentale. Essa è anche una tendenza reazionaria che sogna un impossibile ritorno a un Eden naturale primigenio, sta provocando distorsioni nelle leggi di mercato, aumenti nei prezzi delle fonti energetiche ed enormi sprechi di risorse a spese dei meno abbienti.

Pochi hanno fatto caso alle dichiarazioni rese dall’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, nella sua intervista al Corriere della Sera del 13 novembre scorso. Descalzi afferma che il rincaro del gas naturale del 535 per cento nell’ultimo anno è dovuto a cause strutturali (da considerare perciò stabili) e in particolare alla riduzione dell’offerta, dovuta a una caduta pluriennale degli investimenti nelle fonti tradizionali; e che, a sua volta, questa caduta di investimenti è stata provocata dal loro concentrarsi sulle fonti rinnovabili (solare ed eolico), un dogma politico indotto proprio dall’ecologismo apocalittico.

Descalzi fa proprio l’esempio dell’Eni, “quest’anno abbiamo destinato allo sviluppo e all’acquisizione di rinnovabili quasi due miliardi e mezzo di euro”, diminuendo gli investimenti nelle fonti tradizionali, la cui domanda mondiale è “strutturalmente” elevata ed aumenterà ancora di più in futuro per effetto della crescita della popolazione e dello sviluppo in Africa e in Asia, particolarmente in Cina e in India. Descalzi propone di puntare, invece, su nuove tecnologie diverse dal solare e dall’eolico, tra cui il nucleare.

L’attuale politica troppo favorevole alle “rinnovabili” (sponsorizzate dagli ambientalisti) provoca, per il grande pubblico e per le imprese, un aggravio delle bollette del gas e dell’energia elettrica. Bollette già oberate dal peso di folli incentivi per decine di punti percentuali, che da diversi anni pesano soprattutto sui redditi dei meno abbienti. Basti pensare che l’Italia finora ha già erogato per incentivi alle rinnovabili (eolico e solare) l’astronomica cifra di 250 miliardi di euro e che ogni anno spreca per quegli incentivi circa 15 miliardi di euro. Secondo l’ex presidente dell’Enel (e di Legambiente) Chicco Testa, con 15 miliardi di euro si potrebbero costruire ogni anno due linee ferroviarie di Alta Velocità, cinque linee di metro pesanti e dieci linee tranviarie medie; oppure eliminare tutte le centrali a carbone (vedi Chicco Testa, “Elogio della crescita felice. Contro l’integralismo ecologico”, Marsilio, Venezia, 2020).

Fatti un po’ di conti risulta che la riduzione di una tonnellata di Co2 viene a costare in Italia al consumatore 300-350 euro quando il prezzo di mercato per una tonnellata di Co2 è di 10-30 euro al massimo (da 10 a 30 volte meno). Un vero affare! Tanto più se si pensa che quegli incentivi vanno a foraggiare soprattutto le imprese e le tecnologie cinesi che dominano il mercato dei pannelli solari.

Un ulteriore costo dell’ambientalismo integralista è stato l’azzeramento delle centrali nucleari in Italia, viste come fumo negli occhi dagli ecologisti radicali. Il risultato più paradossale è che l’Italia compra energia prodotta da centrali nucleari francesi localizzate ai confini con l’Italia a prezzi di un 30 per cento più cari, che si ripercuotono in una minore competitività delle manifatture italiane anche rispetto a quelle francesi. Un altro ottimo affare! Se gli apocalittici davvero credono all’imminente catastrofe climatica e nell’assoluta necessità della decarbonizzazione, le centrali nucleari, che hanno emissioni zero, dovrebbero essere da loro viste come parte della soluzione del problema. E invece no. Sul loro “no” al nucleare non si discute nemmeno. C’è da chiedersi come mai, specie dopo che la realtà del business miliardario dell’energia solare è stato ampiamente documentato e denunciato dal regista americano Michael Moore in un suo recente documentario. C’è da chiedersi seriamente se dietro l’antinuclearismo dell’ecologista collettivo non vi sia per caso una “Chinese connection” e forse anche una “French connection”.

Nel frattempo, il presidente francese Emmanuel Macron annuncia di voler costruire nuove centrali nucleari. Negli Usa e in Europa dal 2010 a oggi sono state costruite decine di centrali nucleari per 57mila megawatt. Basti pensare che per ottenere la stessa quantità di energia con il fotovoltaico si sarebbero dovuti installare pannelli solari su 500mila ettari di terreno: l’equivalente di 200mila campi di calcio! Un’immensa distesa di pannelli solari e di pale eoliche: sarà questo il destino del territorio italiano se verso l’ecologismo demagogico delle fonti rinnovabili il mondo politico, e quello giornalistico, continueranno a non prendere una decisa posizione.

Eppure il loro ricatto “salviamo il pianeta dalla catastrofe”, con la complicità dei grandi e piccoli mass media, si è diffuso nell’opinione pubblica provocando una “eco-ansietà” di massa e un pregiudizio favorevole verso chi “mette i bastoni tra le ruote alla distruzione dell’ambiente”. Lo dimostra la diffusione in Italia dei comitati locali del “no” che si oppongono a qualsiasi innovazione tecnologica e persino a qualsiasi opera pubblica. Quei comitati dell’“annientalismo” cominciarono ad apparire negli anni Settanta del secolo scorso nella forma di Comuni che, per iniziativa dei comunisti, dei radicali e con la benedizione dei vescovi e la sanzione di alcuni pretori e magistrati d’assalto, si dichiaravano “nuclear free”. In epoca più vicina ai giorni nostri sono sorti movimenti “No Tav”, “No Tap”, “No Triv” (contro le trivellazioni), “No Tube” (contro l’energia idroelettrica), “No Varianti” (contro nuovi tratti stradali), “No 5G”, l’ultima tecnologia di comunicazione che viene adottata in tutto il mondo e che, secondo gli esperti, migliorerà la produttività dei sistemi economici che la adotteranno. Invece, in Italia c’è chi ha persino sospettato che il sistema 5G abbia diffuso l’epidemia di Covid-19. Molti degli ecologisti dell’annientalismo ecologico sono infine confluiti nel movimento “No Vax”.

Una menzione particolare meritano gli assurdi comitati del “no ai termovalorizzatori”: impianti diffusi in tutta l’Europa e nel Nord Italia, che bruciano i rifiuti ricavandone energia con bassissime emissioni. Nel caso emblematico di Roma, quei comitati hanno indotto le Amministrazioni comunali della Capitale a spedire i rifiuti cittadini all’estero, sobbarcandosi l’ingente spesa per 170 camion che ogni giorno percorrono 1200 chilometri (con consumo di carburanti fossili e relative emissioni). Un altro grande affare (ma solo per le organizzazioni criminali che in questo tipo di affari ci sguazzano). Emblematico è stato anche il caso pugliese dell’irrazionale opposizione al Trans Adriatic Pipeline (Tap) che ha visto manifestazioni non sempre pacifiche, sabotaggi ai mezzi di lavoro, ricorsi a vari tribunali solo perché un tubo di gas doveva passare sotto la bella spiaggia leccese di San Foca e solo perché si doveva espiantare (per poi essere reimpiantati) alcune centinaia di ulivi. Dopo varie peripezie il tubo è stato collocato, gli ulivi sono stati reimpiantati e nessuno si è accorto di alcun irreparabile danno all’ambiente o alle persone.

Nello stesso periodo, una seria infezione la Xylella aveva colpito poche migliaia di ulivi pugliesi. Gli scienziati avevano consigliato per arginare l’infezione di distruggere le piante malate. Si gridò al sacrilegio e al complotto delle multinazionali. Si lasciò così espandere l’infezione per un centinaio di chilometri. In nome dell’ambiente. In entrambi i casi il Movimento Cinque Stelle ha promosso e cavalcato il movimento del “no”. Ma anche l’ineffabile presidente della Regione Puglia non ha mancato di fare sentire la sua voce. Nessuno è oggi chiamato a rispondere, almeno politicamente, del danno irreversibile arrecato all’economia e all’ambiente pugliese da quegli “ambientalisti”, salvati dalle loro “buone intenzioni”.

L’aspetto più paradossale è che la mania del “no” a tutto, indotta dai fondamentalisti ecologici ha portato alcuni gruppi a opporsi persino a impianti di energia rinnovabile, perché un impianto fotovoltaico avrebbe (non si sa come) “inquinato le falde acquifere” o qualche volatile potrebbe essere triturato dalle pale eoliche. Una sovrintendenza ha motivato il “no” a un impianto affermando che esso era destinato a essere localizzato in una zona argillosa e l’argilla è il materiale con cui Dio ha creato l’uomo. Incredibile, ma vero (vedi Chicco Testa, opera citata, pagina 57)

Tutti questi fatti meritano una chiosa politica e una di carattere culturale. Sul piano politico, basta dare un’occhiata alle biografie degli eletti nel 2018 nelle liste del Movimento Cinque Stelle per risalire quasi invariabilmente ai comitati che in varie parti d’Italia hanno detto un “no” a tutto. L’integralismo ambientalista e catastrofista, da cui discendono quei comitati, rappresenta una tendenza reazionaria (un ritorno a un inesistente Eden primitivo) che si ammanta di “buone intenzioni”, ma finisce con l’avere effetti perversi e a mostrare anche oscuri legami con interessi materiali legati alle fonti rinnovabili di energia (a basso contenuto energetico) e ad altri interessi. Ma non si tratta solo dei Cinque Stelle: l’intera sinistra italiana, sia quella post-comunista, sia quella cattolica, ha sempre sostenuto le tesi degli ecologisti radicali.

Esse hanno trovato nell’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco un’autorevole e carismatica conferma, laddove contrappone una Natura, “dono di Dio” e anzi divinizzata, a un uomo accecato dall’egoismo e dal danaro e condanna, nonostante la riabilitazione di Galileo Galilei, avvenuta solo nel 1992, il metodo sperimentale come “tecnica di possesso, dominio e trasformazione”.

Ciò conferma il carattere para-religioso dell’integralismo ambientalista mostrato anche dal carattere fideistico e irrazionale delle posizioni negative, assolutiste e intolleranti che esprime. Il fanatico dell’apocalisse non si pone nemmeno il problema della razionalità delle sue asserzioni né dell’efficacia e della realizzabilità delle sue proposte. Chi gli si oppone viene definito un “negazionista”, come chi nega l’olocausto ebraico. Egli è mosso da una più o meno consapevole avversione per la modernità, per l’industria, per la scienza (quella vera) e per la crescita. È infatti un fautore della decrescita e un nemico della civiltà occidentale che, di fatto, contribuisce a distruggere, in nome del fuorviante slogan “salviamo il pianeta”.


di Lucio Leante