I nuovi Meleto contro Agamben e Cacciari

giovedì 18 novembre 2021


La filosofia è morta! E i suoi assassini sono gli stessi filosofi. Dopo Dio, dopo i re, dopo la giustizia, dopo la democrazia, bisogna dar l’annuncio della morte della filosofia.

Tragico, ma vero, anche senza peer review, cioè senza revisione dei pari, e il perché è presto detto, dato che per Eraclito, uno che certamente non pubblicava all’estero e non era revisionato dai suoi pari, “comune a tutti è il pensare”, così che chi lo nega uccide il pensiero e diviene correo del filosoficidio di cui sopra.

Di avviso esattamente contrario, tuttavia, sono i filosofi Giovanni Boniolo e Lisa Bortolotti che dalle colonne di Avvenire non hanno risparmiato critiche ad Giorgio Agamben e Massimo Cacciari sostanzialmente in base a tre tesi di fondo.

In primo luogo: “L’autorevolezza filosofica non è auto-decisa, o decisa dai mass media o dai social, o dalla propria claque di fan, ma dai pari, ossia dalla comunità internazionale dei filosofi cui si appartiene (se vi si appartiene). Questo significa che i propri lavori saranno accettati nelle migliori riviste internazionali del proprio settore e che si partecipa al dibattito internazionale nei luoghi e secondo le modalità propri della comunità di appartenenza”.

In secondo luogo: “Bisognerebbe parlare di differenza fra buona filosofia e cattiva filosofia. Tale distinzione, ovviamente, non la crea il singolo, ma la comunità internazionale, che riconosce autorevolezza a chi pratica la prima e non riconosce nulla a chi pratica la seconda. E i cittadini dovrebbero essere (resi) consapevoli di questa diversità e con loro i mass media (almeno quelli più seri)”.

In terzo luogo: “Coloro che parlano di cose che non sanno e pensano in modo scorretto fanno del male a tutti noi e che forse non sarebbe da escludere di censurarli in modo deciso: il sacrosanto diritto di parlare non deve essere confuso con il sacrosanto dovere di non recare danno agli altri con il proprio parlare”.

Queste affermazioni – in considerazione della loro gravità – devono essere prese sul serio necessitando di alcune riflessioni critiche. Ritenere che l’autorevolezza filosofica non sia decisa dai media è senz’altro vero, ma ritenere che soltanto la comunità dei filosofi possa attribuire tale qualifica, e soltanto se i lavori sono pubblicati e accettati dalle migliori riviste internazionali della propria comunità di appartenenza non significa eliminare l’autoreferenzialità, anzi, semmai significa evidenziarla per due motivi.

In primo luogo, perché questo sistema lungi dall’essere virtuoso è proprio una di quelle metastasi della cancerosa situazione in cui versa il mondo accademico italiano non orientato dalla trasparenza, dal merito e dalla competenza, ma appunto dalla autoreferenzialità della cooptazione e della raccomandazione.

In secondo luogo, perché la revisione tra pari può avere un senso soltanto all’interno dei metodi di revisione delle cosiddette “scienze dure” (chimica, fisica, biologia, medicina), non potendo essere adeguato – se non con gravi distorsioni che rischiano, come di fatto avviene, di far scambiare il metodo con il merito – all’ambito delle discipline umanistiche in genere e di quelle filosofiche in particolare, non perché, ovviamente, il sapere filosofico non possieda un proprio metodo, ma perché ne possiede uno del tutto diverso che mal si adegua – nonostante le fatiche di Sisifo che gli accademici compiono – al sistema della revisione tra pari proprio in virtù della sua differente specificità.

In terzo luogo, perché se questi sono i criteri per essere definiti filosofi autorevoli e riconosciuti, vengono cancellati 2500 anni di storia della filosofia mondiale, in cui il sapere filosofico, la critica filosofica, la conoscenza filosofica sono progrediti senza queste griglie arbitrarie recentemente introdotte.

Se così fosse, insomma, Parmenide, Socrate, Platone, Aristotele, Alberto Magno, Agostino, Tommaso d’Aquino, Anselmo d’Aosta, Machiavelli, Hobbes, Locke, Rousseau, Nietzsche, Marx, Stirner, Jaspers, Sartre, Foucault e tantissimi altri non sarebbero per nulla né autorevoli, né soprattutto filosofi. Ancora: ritenere che si possa e si debba, perfino, censurare qualcuno in base a ciò che pensa è non soltanto anti-filosofico, ma drammaticamente anti-giuridico, poiché la libertà di pensiero è garantita come metodo e non per il suo merito. È proprio questa la sua forza, ed è proprio questa la sua fragilità, ma è proprio questa sua caratteristica che assurge a limes distintivo tra lo Stato di diritto e lo Stato totalitario. A ciò si aggiunga che ritenere che possa parlare di qualcosa soltanto chi sa di quel qualcosa, significa far del male a tutti facendo del male alla filosofia, poiché significa assumere un modus cogitandi che è tanto anti-filosofico in quanto anti-socratico. Non a caso un non-autorevole Lattanzio ebbe a precisare che “Socrate parlava con ragione, nonostante fosse il più sapiente tra tutti i filosofi, quando affermava, per denunciare l’ignoranza di coloro i quali si immaginavano detentori della verità, di non sapere assolutamente nulla eccetto una cosa: il suo non sapere alcunché”.

La filosofia, infatti, non è certificazione del sapere, ma critica, messa in dubbio, specialmente quanto più il sapere appare certo, specialmente quanto più il sapere è scientifico, poiché come ha insegnato Norberto Bobbio “il compito della filosofia è porre delle domande, non lasciare l’uomo senza domande, e fare intendere che al di là delle risposte della scienza c’è sempre una domanda ulteriore”. Proprio il caso di Socrate ha insegnato una volta per tutte che l’accusatore Meleto era uno di coloro che ritenendosi più esperto dell’imputato reputava che quest’ultimo dovesse tacere, anzi, essere condannato a morte, scoperchiando il vaso di pandora dei processi politici, degli errori giudiziari, della tirannide degli esperti, dell’antirazionale totalizzazione del pensiero ex autoritate a cui dovrebbe sempre contrapporsi quello ex ratione. In questo senso, dunque, la vera filosofia non coincide necessariamente con l’accademia, le sue procedure, le sue revisioni, poiché parafrasando Plutarco per il quale “non è la barba che fa il filosofo”, non è la cattedra – né tanto meno la rivista internazionale – che fa il filosofo.

Pierre Hadot, non a caso, ha chiarito che il filosofo “dà consigli sul modo di partecipare ai banchetti, di assistere agli spettacoli e anche di condurre la loro vita politica. È il problema del filosofo che, teoricamente, dovrebbe distaccarsi dal mondo, ma che in realtà deve ritornarci e guidare la vita quotidiana degli altri. Socrate è sempre rimasto il modello in questo campo: penso a un bel testo di Plutarco che dice appunto: Socrate era filosofo non perché insegnava da una cattedra, ma perché chiacchierava con gli amici, scherzava con loro; andava anche nell'agorà e, dopo tutto ciò, ha avuto una morte esemplare”. La filosofia, insomma, è tanto più vera quanto più si sottrare al dettato autoritario, al consesso degli esperti, alle conventicole parrocchiali, come ha ricordato Alexandre Kojeve per il quale, infatti, “dovere del filosofo è di allontanarsi da tali pregiudizi il più rapidamente e il più radicalmente possibile. Ebbene, ogni società chiusa in sé stessa che adotti una dottrina, come ogni élite selezionata in funzione dell’insegnamento di una dottrina, tende a consolidare i pregiudizi che questa dottrina implica. Il filosofo che fugge i pregiudizi dovrebbe, dunque, cercare di vivere nel grande mondo (in piazza o nella via, come Socrate) e non in una parrocchia, repubblicana o aristocratica che sia”.

In conclusione, se la filosofia vuole essere non autoreferenziale vaniloquio, ma scienza della verità volendo trovare le giuste risposte può farlo soltanto nella misura in cui non viene ingabbiata dall’autorità, dalla censura, dalla forma, poiché soltanto chi pone i giusti interrogativi è vero filosofo e non mero studioso di filosofia (come ha insegnato Immanuel Kant), seguendo le orme di Socrate che fu condannato proprio dagli “accademici” della sua epoca. Sta, dunque, a noi scegliere da che parte stare: dalla parte della ragione socratica e autenticamente filosofica, come con coraggio fanno Agamben e Cacciari, o dalla parte autoritaria dei suoi ingenui accusatori.


di Aldo Rocco Vitale