Le contraddizioni della destra europea

sabato 13 novembre 2021


(Della tattica e della strategia)

Esiste una contraddizione a destra, che non è però italiana, come una stampa nazionale che si finge attenta ai trend mondiali, ma ha occhi in realtà solo per il campanile, ci vuol far credere, ma è molto più profonda e soprattutto estesa, è europea ed è del tipo più difficile da sanare, perché psicologica prima ancora che politica. Le tradizionali destre europee, a cominciare dalle principali, la gollista in Francia e la democristiana in Germania, hanno infatti un classico riflesso supponente da nobiltà un po’ decaduta nei confronti dei chiassosi nuovi ricchi (di voti) e cioè le recenti destre populiste europee. Non solo, ma i due più potenti Paesi – tra l’altro strettamente alleati tra loro – vedono male il nuovo protagonismo delle storiche nazioni dell’est europeo, che non sembrano voler accettare supinamente la guida franco-tedesca, da loro invece vista come naturale e basata su dati di fatto. La dialettica interna al centrodestra italiano e segnatamente nel suo punto di raccordo centrale – la Lega – è il riverbero di uno scontro europeo, in cui, senza bisogno di scomodare A.J. Toynbee che ricordava come il dramma della storia sia che “spesso entrambe le parti hanno ragione” è davvero molto difficile prendere partito. E allora, visto che le contraddizioni si superano (quando si superano) solo con l’azione, proviamo ad immaginare un percorso, un metodo e un punto di arrivo, prima sul piano dei partiti poi su quello delle nazioni. Le destre radicali, oltre che di un risentimento contro “le competenze tecnocratiche” viste (a torto) da un certo sentimento popolare come un’esclusione interessata e ingiustificata, sono portatrici di una retorica del “buon tempo antico” visto come un’età dell’oro persa a causa di accordi internazionali elitari (che non sono però una pura invenzione), il che se non le porta certo ad una cultura adatta a governare i nuovi avvenimenti, fa sì che abbiano però un solida ed istintiva diffidenza, che le mette al riparo da certe allucinazioni che guardano attraverso le lenti deformanti del Politically correct (collettivista e peggiorato da un ecologismo ideologico anziché scientifico) invece di considerare semplicemente la realtà.

Le destre centriste tradizionali, ormai da tempo invischiate nel tecnicismo del potere, hanno invece un po’ perso l’anima, tutte prese a far mostra di competenze sulle regole non scritte dei consigli di amministrazione (o a codificare le dimensioni medie dei piselli) pensano solo a cercare illusoriamente di mantenere uno status quo, che intanto però la sinistra sta profondamente modificando in senso peggiorativo, sia per la libertà che per lo stato di diritto, approfittando del fatto che il rifiuto pregiudiziale dei “moderati” ad allearsi con le nuove destre (tanto in patria che al Parlamento europeo) fa scivolare il parlamento di Strasburgo verso derive settarie e cadere i governi in mano ai Macron e agli Scholz (quando va bene) o agli Hollande, ai Sanchez e ai Letta (quando va meno bene). Tornando a noi, hanno molto probabilmente ragione coloro che, come la Lega, dicono che il modello italiano di centrodestra andrebbe ripreso anche in Europa insieme a Marine Le Pen (che non è Jean Marie), Orbán o i Polacchi e quindi con un no secco all’ostracismo intollerante e antidemocratico delle sinistre, tuttavia è difficile però dare torto a chi sostiene che, ad esempio, proprio la Lega sarebbe molto più forte nel sostenere queste alleanze se fosse nel Ppe, come a suo tempo dimostrò Berlusconi facendo, anche in virtù di questo, accettare le sue coalizioni nazionali. La corretta politica delle alleanze di Salvini (a cui già si deve il ritorno dell’idea di Patria) realizzata però – nel tempo – a partire almeno da un’alleanza stretta col Popolarismo, anche perché, se sarebbe ingiustificabile provare ad escludere ungheresi, cechi e polacchi, sarebbe addirittura folle provare a ignorare francesi e tedeschi.

Certo che una svolta della Cdu-Csu verso le posizioni di Merz o di Soeder, renderebbe più facile l’approccio, ma è anche vero che servirebbero pure delle destre radicali più dialoganti. E questo è soltanto semplice realismo politico, un ragionevole e saggio contemperare le ragioni della tattica con quelle della strategia. Più complesso è il discorso istituzionale. Non c’è dubbio alcuno che Francia e Germania, approfittando della deviazione dalla costruzione federale con la nascita del “Consiglio europeo”, nato proprio per tener conto del peso differente delle nazioni come voleva Giscard d’Estaing e diventato poi nel tempo il vero centro del potere, abbiano imposto un direttorio di fatto all’Europa e che questo alla lunga abbia raffreddato gli entusiasmi di paesi – anche grandi per dimensioni e storia – che si sono visti molto condizionati, ma senza un effettivo e reale potere di incidere. E non mi riferisco qui tanto al Regno Unito, che l’Europa non l’ha mai veramente voluta, quanto ad esempio a Polonia, Ungheria e anche, in una certa misura, all’Italia. Il problema indubbiamente esiste e va dunque risolto, anche perché la grande maggioranza dei cittadini resta europeista, ma non per questa Europa. E qui credo si debba essere molto chiari, nessuno dei popoli europei può fare a meno della costruzione europea, anzi dell’Unione europea.

Già oggi le grandi potenze mondiali ci condizionano, spesso anche contro i nostri interessi vitali, in una misura mai vista prima nella nostra storia e non abbiamo nessuna possibilità da soli di provare a resistere, come hanno fatto i britannici, perché nessuno dei nostri popoli fa parte, a differenza di loro, di una storica comunità transoceanica di quattrocentocinquanta milioni di uomini con la stessa lingua e che proprio e solo per questo hanno realmente potuto scegliere. E allora, poiché la soluzione ai problemi reali dell’Europa va trovata in Europa, va gradualmente eliminata l’anomalia del Consiglio europeo, per costruire un’Europa politica e cioè realmente e compiutamente federale. Sarà un processo necessariamente lento, si potrà passare per un modello intermedio di tipo confederale, ad esempio con il Consiglio europeo trasformato in una sorta di “Camera Alta” senatoriale con poteri pari al parlamento elettivo e un aumento delle competenze della commissione vista progressivamente sempre più come un “governo dell’unione”, ma l’obbiettivo finale non può che essere uno: gli Stati Uniti d’Europa.

Un’Europa di ampie autonomie, che non ceda al burocratismo dirigista e che apra i suoi mercati, ma che ricerchi l’autosufficienza e l’indipendenza, un’Europa che ritrovi la sua storia, la sua cultura e anche le sue leggende. Sì al sovranismo, ma un sovranismo europeo in cui un italiano, un tedesco o un olandese abbiano però davvero gli stessi diritti (e doveri). La Francia, che grazie a un genio del passato come De Gaulle, si trova, unica in Europa, nelle condizioni di (piccola) grande potenza, grazie al seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza Onu e all’armamento atomico, dovrà di necessità avere il ruolo che ebbe il Piemonte per il nostro paese, speriamo che possa e voglia farlo e che il sogno di De Gasperi, Adenauer e Schumann e prima ancora di Cattaneo, Mazzini e Goethe si compia, realizzando quell’idea che era già nei trattati di Roma. (E questo nome credo che evochi ancora qualcosa). A questo il centrodestra deve dedicarsi, a questo ed al recupero pieno delle libertà individuali, della cultura e delle tradizioni locali, che, insieme alla libertà economica, sono il lascito più importante della storia europea, una storia che Cristianesimo e Illuminismo (tutti e due) hanno caratterizzato in modo netto nel panorama mondiale.

Il tanto che ci unisce nella Lega e in tutto il centrodestra e l’opposizione netta ai disvalori delle sinistre, deve farci riflettere tutti ed agire di conseguenza, anche perché è solo quando si esce dall’Europa che si cominciano a vedere sul serio delle profonde differenze, dentro, a parte i differenti “dialetti”, se ci si fa caso, non si può non notare che si respira davvero qualcosa di comune, frutto della stessa cultura, della stessa storia e anche, perfino, delle stesse guerre. Cerchiamo tutti, nel centrodestra, di essere all’altezza delle sfide, perché le buone ragioni che abbiamo, di fronte alle barbarie dell’intolleranza e della Cancel culture, devono essere di stimolo alla concordia, a cominciare dalla Lega dove il valore della compattezza è addirittura essenziale dati i metodi dei nostri avversari, ma una concordia che si sviluppi nell’azione e questo lo dico per tutti, a cominciare da me stesso, che l’età spinge sempre di più a dare buoni consigli, per le crescenti difficoltà a dare cattivo esempio.


di Giuseppe Basini