Fedez in politica: promessa o minaccia?

sabato 13 novembre 2021


Il cantante rapper Fedez, al secolo Federico Leonardo Lucia, entra in politica? La notizia che il noto artista abbia registrato un dominio sul web dall’inequivocabile titolo “Fedezelezioni2023.it” ha suscitato non pochi sarcasmi. Al riguardo, non siamo per ridicolizzare l’iniziativa e soprattutto per sottovalutarne le possibilità di successo. Certo, Fedez è un personaggio che non ci suscita alcuna simpatia. Tuttavia, ha un vasto seguito tra il pubblico, in particolare quello più giovane che condivide le sue deprecabili “perle di saggezza”. Si obietterà: Fedez è un fenomeno prevalentemente social; la sua platea è virtuale. Ma oggi le folle, smarrita la memoria delle grandi adunanze nei luoghi fisici, si ritrovano nelle piazze virtuali del web. Piaccia o no, è un fatto che non può essere ignorato. Il giovanotto ha su Instagram 13 milioni di follower. Sono numeri da capogiro se si considera che il concerto più affollato di sempre è stato quello della rockstar Rod Stewart la notte di San Silvestro del 1994 sulla spiaggia di Copacabana a Rio de Janeiro, con tre milioni e mezzo di partecipanti.

È pur vero che la scienza della comunicazione non ha dimostrato, con il cambio di paradigma della partecipazione, l’esistenza di un automatismo nel passaggio dalla condizione (virtuale) di follower a quella (fisico-mentale) di militante di un movimento politico. Ma c’è una questione di aggregazione del consenso da considerare, che attiene alla psicologia delle folle. Nonostante le società occidentali evolvano a grandi passi, alcuni aspetti comportamentali delle masse non sono cambiati rispetto a un passato sfregiato dalle mortifere suggestioni degli autoritarismi, di destra e di sinistra. Benché la gente d’oggi abbia raggiunto, mediamente, un sufficiente grado d’istruzione e sia più consapevole della propria condizione esistenziale, dei propri diritti e dei propri doveri di cittadinanza, sopravvive un lembo di territorio nella coscienza popolare occupato dall’istintività e dall’irrazionalismo. L’insieme degli individui “suggestionabili” tende a fare massa e a produrre comportamenti uniformi che possono essere studiati. I dittatori del Novecento lessero con attenzione l’opera di Gustave Le Bon sulla Psicologia delle folle (1895). E ne fecero tesoro. Fatte le ovvie differenze, influencer, demagoghi, santoni, predicatori, imbonitori, capi carismatici, ricorrono alle medesime tecniche comunicative usate dai dittatori per soggiogare la volontà delle masse. Oggi come nel passato vale l’equazione dell’inconsistenza contenutistica del discorso del leader carismatico che conquista l’uditorio non per ciò che dice ma per come lo dice. Egli parla per immagini che non mirano a convincere l’ascoltatore ma a sedurlo. L’assertività dei toni, anche nel dire fregnacce, fa la differenza: crea quell’intima connessione tra leader e seguace che chiama in causa la sfera emozionale.

Al “messiadi turno è permesso ciò che per l’uomo comune è considerato patologico: credere alle proprie bugie (in psichiatria si chiama pseudologia fantastica). Il leader è esentato dall’obbligo di argomentare le sue estrinsecazioni essendo percepito dall’ascoltatore non come risposta a un bisogno reale ma come proiezione di un desiderio, di un’illusione. Le folle, di cui non sfugge l’assonanza onomatopeica con l’anglicismo “follower”, non vogliono essere angustiate dalla fatica del ragionare e dalle misteriose meccaniche del pensiero incubatore di dubbi. Non c’è spazio per i filosofi. Nel moderno linguaggio della rete, la domanda di assertività è pienamente soddisfatta dalla scarnificazione della comunicazione ottenuta mediante lo strumento della codificazione messaggistica. Fedez su questo terreno è un campione, come lo è la sua partner di vita e d’affari, Chiara Ferragni. Il rapper non vuole essere un intellettuale. Al contrario, si propone all’immaginario collettivo come il vindice del vuoto mentale minorato dalla primazia della sostanza pensata. Un esempio: a un filosofo che aveva attaccato sua moglie definendola “uno stand con merce da esposizione”, Fedez rispose “probabilmente i vostri editori sono contenti perché quando parlate di Chiara Ferragni qualcuno vi ascolta, mentre quando parlate di misticismi vari e sensi della vita non vi caga nessuno!”.

Di là dalla volgarità della prosa, questa risposta riassume il personaggio Fedez: carismatico e demagogico, che agisce sull’alienazione (nell’accezione concettuale della psicanalisi post-freudiana) dell’individuo attraverso la rappresentazione testimoniale della bramosia di trasgressione, di successo, di ricchezza, d’impunità, di riscatto. Siamo al cospetto di una specie minore di volontà di potenza dell’imbonitore non esiziale per i destini dell’umanità, nondimeno nociva. Una società sana ed equilibrata neanche verrebbe sfiorata da una tale minaccia. Ma quella italiana non è la comunità stabile e armonica che si vorrebbe. Troppe le contraddizioni e, soprattutto, troppi gli squilibri sociali che ne complicano le dinamiche. La sinistra si è lasciata andare a grandi festeggiamenti per avere vinto la partita delle elezioni amministrative nelle grandi città. Si è gloriata del pelo strappato all’avversario trascurando la trave che sta per crollare sulle istituzioni pubbliche. La trave è quel 50 per cento di astensionismo che racconta un’altra storia. Chi è quell’italiano su due che non si è recato alle urne? Cosa pensa, cosa desidera? Cosa lo spaventa, lo delude, lo rende felice? Da tempo lanciamo allarmi sul pericolo che una folla inappagata della propria condizione esistenziale possa desiderare di percorrere altre vie. E non è detto che le alternative debbano avere un orizzonte di senso: l’irrazionale è sempre in agguato. Un mondo che evolve troppo in fretta; che rende liquidi i suoi valori perenni; che impone dall’alto transizioni di civiltà alle società sottostanti senza avere alcun riguardo per le conseguenze negative economico-sociali che ricadrebbero sulle fasce più deboli della popolazione, espone masse di individui alla fascinazione indotta dall’imbonitore di turno attraverso la comunicazione.

Cosicché, è il malcontento il brodo di coltura dell’agente patogeno che si presenta sotto le mentite spoglie dell’uomo che regala sogni. Ricordate Beppe Grillo, il trionfatore delle elezioni del 2013? Non furono verbosi discorsi programmatici che spinsero milioni di italiani a credergli: fu un’immagine evocativa nella quale tanta gente si riconobbe. Quell’urlo dalla piazza del Duomo a Milano contro la vecchia politica: “Arrendetevi! Siete circondati dal popolo italiano”. Quali effetti avrebbe oggi un messaggio simile se a lanciarlo fosse un Fedez? Si obietterà: è solo un cantante, per di più stonato, che fa marketing per i suoi prodotti musicali. Anche di Grillo si diceva: è solo un comico. Poi si sa com’è finita: nel 2018 Cinque Stelle primo partito.

In questo tempo storico il populismo, criminalizzato dal mainstream del politicamente corretto, è una realtà. Finora in Italia forme populistiche (il Cinque Stelle più che populista è stato fenomeno a metà strada tra il qualunquismo e il cesarismo) sono state connotate da elementi di revanscismo sovranista e pertanto etichettate come torsioni dell’oltranzismo di destra. Con Fedez potrebbe verificarsi una rotazione a sinistra dell’asse del ribellismo. Potrebbe essere lui il vettore su larga scala di un soggetto politico creato in vitro nel laboratorio della sinistra emiliano-romagnola e sperimentato in occasione delle regionali del 2020 con la mobilitazione delle Sardine. Ecco perché sulla sua discesa in campo non riusciamo a ironizzare.


di Cristofaro Sola