La realtà è scritta nei muri

mercoledì 10 novembre 2021


Al di là di qualunque strumentalizzazione, il controverso rapporto pubblicato il 5 ottobre dell’Istituto superiore di Sanità fotografa un andamento del Covid-19 che appare in linea coi primissimi riscontri ufficiali registrati in questa pandemia senza fine. Andamento molto chiaro che avrebbe dovuto produrre analisi ragionate e provvedimenti mirati, anziché un clima emozionale di terrore assolutamente propedeutico a far accettare le più restrittive misure d’Occidente, così come riportato sullo Stringency index elaborato dall’Università di Oxford.

In estrema sintesi, nel rapporto viene specificato, se ce ne fosse ancora bisogno, che la stragrande maggioranza dei decessi attribuiti al Coronavirus riguardano persone molto anziane e/o già molto malate. Ben il 67,7 per cento di questi poveretti erano portatori di tre o più patologie gravi. Di converso, i decessi che hanno interessato persone con zero malattie pregresse sono stati il 2,9 per cento del totale. Tutto questo porterebbe a pensare che quel famoso 96 per cento di casi sintomatici e paucisintomatici, misteriosamente scomparso dai radar del giornale unico del virus, probabilmente rappresenta una stima per difetto, dal momento che ci si continua a basare sui tamponi eseguiti.

Ora, di fronte a un simile quadro sanitario, che dopo quasi due anni risulta assai difficile smentire, si fa una gran fatica a comprendere la ratio di provvedimenti, su tutti l’obbligo vaccinale estorto con un atto amministrativo, che appaiono sempre più sproporzionati rispetto alla reale portata del problema da affrontare. Problema che riguarda essenzialmente le fasce più fragili della popolazione, sulle quali dovrebbero concentrarsi le azioni di tutela messe in atto dal sistema sanitario. Invece, si continua a privilegiare la strada di un Tso occulto universale, costringendo chi non corre statisticamente alcun rischio a vaccinarsi se non vuole incorrere nell’ostracismo sociale.

E in questa ottica è chiaro che il succitato rapporto, sebbene l’Iss ne produca con sospetta parsimonia, comunque contrasta nettamente con la narrazione di chi sta imponendo il pugno di ferro con lo scopo dichiarato di tutelare la salute di tutti. Se infatti, con un semplice calcolo matematico, dovesse passare il messaggio che il rischio di contrarre la malattia grave per una persona sana è sostanzialmente simile a quello dell’influenza, cadrebbe automaticamente tutto il castello di terrore su cui si basa la politica delle restrizioni. Un castello di catastrofiche illusioni con le quali si continua a tenere semiparalizzato il Paese, determinando tutta una serie di danni all’economia, all’istruzione e alla salute fisica e mentale degli individui, i cui drammatici effetti si vedranno solo nel tempo a venire.

Ciononostante, la narrazione di una malattia mortale per tutti, la cui anticamera è il semplice contagio, rappresenta ancora il leitmotiv di gran parte dell’informazione italiana. Da qui ne discende che non basta vaccinare i più fragili e, eventualmente, i più paranoici, così come avviene per l’influenza stagionale. Occorre invece convincere, alias costringere tutti a farlo perché, come ha urlato nel salotto di Paolo Del Debbio l’imbarazzante Licia Ronzulli, un lavoratore vaccinato non può correre il rischio di prendersi la malattia da un collega che non ha voluto farsi iniettare il siero di “lunga vita”. Cosa veramente bizzarra, a ragionarci un attimo. Se, come giurano e spergiurano gli scienziati del terrore pandemico, Roberto Burioni su tutti, il vaccino protegge dalla malattia grave, cosa diavolo potrà mai rischiare un lavoratore immunocompetente coperto dal medesimo vaccino, anche venendo in contatto con chi vaccinato non è? Misteri della fede virale.

 


di Claudio Romiti