Smart atomica

martedì 9 novembre 2021


Basta la parola. Lo diceva Tino Scotti, e si riferiva a un purgante. Ma chi avrebbe detto che il comico baffuto, ricordato ormai solo da chi ha più di sessant’anni, sarebbe stato un profeta straordinario? Oggi si chiama hashtag e dovrebbe essere una moderna etichetta che rivela un contenuto. Dovrebbe, perché spesso il contenuto non c’è. Esiste solo l’hashtag, il cui cancelletto andrebbe spostato alla fine, perché oltre la grata, niente. Come da slogan del Falqui alla prugna, basta dire “pianeta”, e si evocano sensi di colpa per aver certamente fatto cose non “sostenibili”. Anche se “sostenibile” è uno dei termini più vaghi del (be’) pianeta.

Così è facile bollare un personaggio pubblico. Greta Thunberg è un mito anche se spara solo frasette prefabbricate, Antonino Zichichi è pessimo perché è vecchio: il passato, anche se scienziato, perde contro la ripetitrice automatica di slogan che non va nemmeno a scuola. Quando poi un personaggio cade in disgrazia, è un attimo trovare un’anziana frustrata da un sogno cinematografico mai avverato che lo accusi di averla incantonata in un ascensore di Las Vegas nel lontano 1958: tutto istantaneo, mangiato e neanche cotto, non si sa mai che qualcuno volesse, non approfondire, che forse è reato, ma almeno ragionarci.

Ernesto Calindri, altro attore e carosellista della stessa epoca, raccomandava il Cynar per proteggerci dal ritmo frenetico della vita moderna. Ed è forse per questo che non abbiamo tempo per verificare gli hashtag, ed è sufficiente citarli o leggerli on-line. Ma ci consola il fatto di essere in buona compagnia con i sapientoni anni Ottanta, i quali, ad esempio, criminalizzarono il termine “nucleare” ergendosi a salvatori della Patria. Il 16 ottobre 1985 un incidente, peraltro senza gravi conseguenze, provocò l’arresto della centrale nucleare di Caorso, in provincia di Piacenza. All’epoca, in Italia, c’erano altre centrali a Latina, Garigliano e Trino Vercellese, ma producevano poco o niente. Nel 1987 un referendum bandì il nucleare dall’Italia, come se fosse mai esistito. La causa scatenante fu la tragedia di Chernobyl, l’impianto nucleare ucraino il cui quarto reattore esplose, causando un numero elevato, ma imprecisato di morti e radiazioni che invasero l’Europa, arrivando persino nel territorio degli Stati Uniti. Dove sei anni prima un grave incidente aveva fermato un reattore della centrale di Three Miles Island, in Pennsylvania. Ma non vi furono morti, il reattore fu messo in sicurezza, mentre l’altro, addirittura, continua tuttora a funzionare: sarà spento nel 2034, come previsto quando fu progettato. Chernobyl scosse il mondo, anche se fu la tecnologia sovietica a essere messa fortemente sotto accusa. Ma la chiusura di Caorso fu il frutto di una campagna condotta da ambientalisti, supportati da parte della Sinistra. Così andarono in fumo i soldi spesi per un impianto che funzionò per meno di cinque anni e con diversi stop.

Ora l’hashtagelettrico” è fra quelli che sfondano: funziona e resiste a tutto, anche alle dichiarazioni di esperti veri, come Akio Toyoda, presidente della Japan Automobile Manufacturers, il quale ha recentemente previsto un aggravarsi dell’inquinamento in tutto il mondo quando e se la trazione elettrica soppianterà gran parte dei motori termici. È lecito pensare che un leader di industria a quel livello possa essere ispirato da logiche commerciali più che da timori ecologistici. Ma, se anche fosse vero che si sta realizzando una tecnologia per produrre batterie il cui stoccaggio fosse, come piace dire, sostenibile, resterebbe comunque il problema della produzione di energia per alimentare le automobili che spacciano per pulite.

Ebbene, l’Italia è orgogliosamente immune dal rischio nucleare, ed è vero che l’uso dell’energia rinnovabile è aumentato considerevolmente negli ultimi anni, ma è anche vero che l’importazione di gas e di petrolio, pur ridotta di qualche punto percentuale, anche a causa della pandemia, è sempre molto elevata. Risultato: non produciamo elettricità con il nucleare, continuiamo a importare, sicuri che nessuna centrale dei Paesi confinanti (Francia, Svizzera, Austria, Slovenia) avrà mai alcun problema. E se pure dovesse averlo, è certo che le radiazioni si fermeranno diplomaticamente ai confini con l’Italia, per rispetto delle nostre scelte consapevolmente verdi, che ci danneggiano l’economia, però ci fanno dormire sonni tranquilli.


di Gian Stefano Spoto