Il Governo globale e il mondo diviso in tre

mercoledì 3 novembre 2021


Fra le tante cose, il G20 di Roma lascia due grandi e fondamentali eredità, che si possono cogliere, però, solo leggendo in controluce eventi e parole.

La prima è la volontà, largamente condivisa, di arrivare velocemente al Governo globale della finanza. La seconda è la divisione del mondo in tre grandi blocchi.

Partiamo dal disegno del Governo globale. L’idea non è nuova e in tempi abbastanza recenti era già stata ripresa nell’incontro di Venezia tra i ministri dell’Economia. Il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, l’ha sintetizzata in poche, asciutte parole, com’è suo stile: ci sono settori dell’agire pubblico, ha detto, che gli Stati devono giocoforza governare insieme se non vogliono soccombere. Tra questi, oltre alla sanità, l’economia finanziaria.

La finanza globale, proprio come le pandemie, si pone al di fuori del controllo ordinario dei singoli Stati e perfino dei singoli continenti. Nessuno di essi, singolarmente considerato, è in grado di governarla. La finanza senza confini e radici si è fatta essa stessa “Stato” ed è con la forza del denaro che ormai è in grado di piegare nazioni e popoli. Gli stati convenzionali, per contro, hanno perduto su di essa sovranità e controllo, non possono più nulla, se non assecondarne le volontà.

Questo discorso può non piacere, ma la realtà è questa: ha vinto la finanza sulla politica, come in altri settori ha vinto il capitale sul lavoro. Ripeto: può non piacere, ma la situazione oggettiva è questa. Inutile nasconderla dietro bandiere ideologiche o moraliste.

L’idea di arrivare celermente a un Governo globale da parte degli Stati convenzionali è il tentativo estremo, forse tardivo, di arginare la perdita delle singole sovranità. Davanti a fenomeni globali e potenzialmente distruttivi, non c’è altra soluzione che unirsi. Di qui, appunto, la proposta di creare organismi sovranazionali ai quali affidare la funzione politica di contrastare la degenerazione dell’economia finanziaria.

Il passo è epocale, nel bene e nel male. Nel bene perché gli Stati, seppure indirettamente, potranno finalmente riappropriarsi di qualche arma di contrasto alla dissolutezza speculativa a danno dei popoli; nel male, perché il controllo di questi fenomeni aumenterà sideralmente le distanze tra classe dirigente posta al vertice dei nuovi organismi e corpi elettorali dei singoli stati.

Si è detto all’inizio che il G20 lascia anche un’altra eredità: la divisione del mondo in tre grandi aree di influenza. Le assenze dei leader di Cina e Russia e la presa di distanza dei Paesi arabi da alcune misure di politica economica e ambientale hanno messo in plastica evidenza l’unione degli Stati in tre blocchi: quello dei Paesi capitanati dagli Stati Uniti d’America, del quale fanno parte anche Giappone e forse India; quello capitanato dalla Cina, al quale si avvicinano la Russia e alcuni Paesi del Sud America, e infine il blocco dei Paesi arabi a guida teocratica o prevalentemente teocratica, con l’aggiunta di alcune autocrazie che si affacciano sul mediterraneo.

È una rappresentazione giocoforza grossolana, questa. Nelle varie aree si collocano nazioni ondivaghe, vere e proprie mine inesplose poste alle fondamenta dell’intero scacchiere. Sebbene grossolana, questa rappresentazione, però, rispecchia abbastanza fedelmente, io credo, lo scenario che accompagnerà anche il nostro Paese nei prossimi decenni.

L’Italia – come quasi tutti gli Stati aderenti all’Unione europea – ha infatti riaffermato la sua appartenenza al primo blocco. Rimane da capire, però, quale sarà il suo ruolo, specialmente se Draghi dovesse lasciare Palazzo Chigi. Non è cosa secondaria, questa, e l’avvicinarsi dell’elezione del nuovo capo dello Stato rende la questione ancor più importante.


di Alessandro Giovannini