Urge abbecedario per politici vari

venerdì 29 ottobre 2021


È stata una lezione quella del Senato sul Ddl Zan ma, lo temiamo fortemente, una lezione per gli esterni, cioè per tutti noi piuttosto che per loro, quelli dentro. Anzi, per molti di loro si avverte l’urgenza di un vero e proprio abbecedario che riempia in qualche modo i vertiginosi vuoti di cultura che la suddetta vicenda ha messo in mostra riguardo la sinistra, questa volta, anche se non mancherà l’occasione di un ribaltamento.

Intanto la leggendaria tagliola predisposta dalla Lega (senatore Roberto Calderoli), cosiddetta in termini riassuntivi (articolo 96 del regolamento, allorquando ritenuto ammissibile dalla presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati) se, su presentazione di un senatore per gruppo, impedisce al Senato di procedere sul Ddl, facendolo ricominciare a capo. Ma il punto vero, cioè la vera tagliola, non è scattata a votazione avvenuta ma già da prima, molto prima. Da quando, cioè, si sapeva che quella votazione sarebbe avvenuta a scrutinio segreto su richiesta di Lega e Fratelli d’Italia. Da che mondo è mondo, si sa che qualsiasi votazione del genere offre un’occasione ai non pochi scontenti dentro ai partiti di darvi uno sfogo, per di più senza apparire e contribuendo, nel segreto dell’urna, a mettere in crisi la maggioranza.

Da mesi, come vi hanno fatto cenno altri osservatori, la spada di Damocle dei franchi tiratori stava sul capo dell’alleanza Partito Democratico-Movimento Cinque Stelle che aveva attribuito al Ddl Zan valori, valenze, idealità, significati spesso eccessivi e, comunque, funzionali a una certa criminalizzazione dei dissenzienti – in pratica la metà del Senato – oltre che la Chiesa, gran parte del mondo cattolico.

Anche in questa semplice, diciamo pure semplicistica, reductio ad unum dell’opposizione, sarebbe stato di una certa utilità l’abbecedario nel capitolo che prescrive la prudenza in tali valutazioni tanto più che, mese dopo mese, avvertenza dopo avvertenza, consiglio dopo consiglio (in modo particolare di quel Matteo Renzi d’accordo sul Ddl e a suo modo partecipe politico di quella maggioranza) l’ostinazione di Enrico Letta – e di un Giuseppe Conte che fa sempre finta di esserci solo quando si vince – avesse rifiutato qualsiasi tentativo per una entente cordiale per venire incontro, in qualche modo, alle richieste della opposizione.

Si è trattato di una sfida già perduta in partenza per Letta e non sul piano numerico (che è sempre nel grembo di Giove), quanto su quello politico nel senso che affidava se stesso, cioè l’intero Pd, dove si muoveva qualche mal di pancia, al ferreo legame con un M5S malpancista a sua volta ma che, di fatto, gli ha impedito come in altre occasioni di guardare senza paraocchi all’intero panorama politico. Qui l’abbecedario diventa, a suo modo, un trattato di filosofia dell’azione politica con le sue severe indicazioni a proposito dell’arroganza che, nel caso di Enrico Letta, si è spesso manifestata soprattutto nella certezza, anche essa ferrea, della potenza di una alleanza che, prima o poi, lo porterà a un redde rationem. E allora, più che di un abbecedario, sarà necessaria la scritta hollywoodiana “The End


di Paolo Pillitteri