Ddl Zan: passata la festa, “gabbato lo santo”

mercoledì 27 ottobre 2021


Cari compagni e compagne del mondo Lgbt, Enrico Letta vi ha fregato. Vi ha fatto uno scherzo da prete. Ricordate il segretario del Partito Democratico quando, l’estate scorsa, faceva il “pasionàrio” sulla vostra pelle sentenziando con rodrighesca albagia: la Legge “Zans’ha da fare? Sembrava che il “pretino pisano” si fosse trasformato nel “Bravo” manzoniano in azione per la decostruzione delle rappresentazioni binarie della sessualità. Sembrava che il suo fare deciso nel voler approvare il Disegno di legge sull’omotransfobia del deputato dem Alessandro Zan ne imponesse un’approvazione a “scatola chiusa”: nessuna modifica consentita, neanche di una virgola. Ma il decisionismo lettiano era fuoco di paglia, funzionale ad arrivare indenne alla pausa agostana.

Al culmine della battaglia parlamentare il segretario piddino si salva in corner: meglio rinviare che essere battuto. E così è stato. Letta ha mandato i suoi in vacanza con la rassicurazione che, in autunno, prima dei freddi invernali, la lotta sarebbe ripresa con rinnovato vigore. Sembrava essere tornati indietro di mezzo secolo, al tempo della fanciullesca illusione che buttare giù la società per costruirne una migliore fosse destino dell’umanità, ascritto al regno del possibile. Sembravano tornate le epiche stagioni in cui nelle piazze, nelle scuole, nelle università un popolo di giovani in cammino verso l’utopia urlava al vecchio mondo rinchiuso nel “Palazzo”: “Diamo l’assalto al cielo/La fantasia al potere!”. Il mondo Lgbt ci ha creduto: hasta la victoria siempre, “sub-comandanteEnrico! Invece, scavallata la scadenza elettorale delle Amministrative, con l’approssimarsi della brutta stagione, Enrico Letta ha indossato il doppiopetto del democristiano. Non il massimo per la nouvelle vague progressista.

E allora: contrordine compagni! La mediazione con i “retrogradi” del centrodestra si può fare. Che, tradotto dal politichese, significa un bel nulla. I punti inaccettabili del Disegno di legge “Zan”, contro cui il centrodestra che rappresenta il sentimento maggioritario degli italiani ha alzato le barricate, non consentono ritocchi edulcoranti: o si eliminano o non se ne fa niente. Di cosa parliamo? Di tre concetti monstre inseriti nel testo. Nello specifico: la lettera d) dell’articolo 1 del Ddl, che definisce giuridicamente l’identità di genere; l’articolo 4, che di fatto punisce i reati d’opinione omotransfobici; l’articolo 7, punto 3, che obbliga le scuole di ogni ordine e grado (scuola dell’infanzia e primaria comprese), nella istituenda Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, a organizzare iniziative culturali per contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.

L’introduzione nell’ordinamento giuridico di tali norme, pur non avendo diretta incidenza sul contrasto a ogni forma di discriminazione, determinerebbe un rovesciamento valoriale che l’Ethos della maggioranza degli italiani non è disposta ad accettare. La possibilità che l’identità sessuale, biologicamente definita, possa essere soppiantata per effetto di una legge dello Stato da una alquanto fluida identità di genere, prodotto della percezione (soggettiva e mutevole) che il singolo individuo ha di sé, per la grande maggioranza degli italiani è un’aberrazione. Immaginate per un momento che caos sociale e giuridico si creerebbe se ognuno potesse scegliere quotidianamente la propria identità sessuale. Una follia! Se l’armata progressista intende riscrivere lo statuto dell’uomo universale, separando in radice il genere dal sesso biologico, svuotando di senso la base antropologica della famiglia e affidando la strutturazione dell’identità sessuale dell’individuo ai ruoli sociali attribuitigli dall’educazione o dalla cultura, trovi un’altra strada. Se vi riesce. Perché quella delineata nel Ddl “Zan” è la più turpe.

Il cattolico Enrico Letta lo sa bene. Perciò, quando la scorsa estate ha inscenato la parte del pasdaran dei diritti di lesbiche, gay e transgender, ha sfacciatamente recitato una parte in commedia al solo scopo di catturarne il consenso. Niente di più. Ottenuto il risultato, attestato dalla recente vittoria alle Comunali nelle principali città, grazie anche al sostegno della nutrita comunità Lgbt, adesso per il “democristiano” Letta si può tornare alla ragionevolezza, con buona pace del mondo gay-lesbo-trans che ha creduto alla sincerità del suo impegno. Ora, potrà pure accadere che uno straccio d’intesa si raggiunga, anche se Cinque Stelle e Liberi e Uniti si sono messi di traverso rifiutandosi, ieri, di sedere al tavolo del negoziato con gli altri partiti, convocato dal leghista Andrea Ostellari, presidente della Commissione Giustizia del Senato e quest’oggi a Lega e Fratelli d’Italia potrebbe riuscire, nella discussione in Aula al Senato, il colpaccio della “tagliola” del voto segreto sulla richiesta di “non passaggio agli articoli” nell’esame del Ddl.

Ciononostante, ci sia consentito stigmatizzare il modus agendi di Enrico Letta. È per tale ostentata spregiudicatezza che la gente si allontana disgustata dalla politica. Il pensiero della destra è distante anni luce dalle teorie sul relativismo culturale nella costruzione dell’identità di genere e le combatte alla luce del sole, nondimeno si comprende il disagio delle persone appartenenti al mondo Lgbt che oggi si sentono tradite dal leader della sinistra. Tutta la politica dovrebbe trarre una severa lezione dal comportamento inappropriato di Enrico Letta. Si può essere pro o contro una legge destinata a modificare la vita o la stabilità valoriale della comunità statuale alla quale essa è indirizzata. Ci si può battere in Parlamento, da rappresentanti del popolo, per migliorarla se non si ha la forza numerica per respingerla, perché questa è la democrazia. Ciò che non si può fare è ingannare la gente per un meschino calcolo di bottega. Benché i politici facciano fatica a ricordarlo, nella conduzione della cosa pubblica bisognerebbe sempre attenersi a una regola morale che impone coerenza nei comportamenti. D’altro canto, la differenza che corre tra un politico di rango e un politicante da quattro soldi sta nella capacità del primo tipo di accettare, parafrasando il Vangelo di Matteo, che il parlare sia sì, sì; no, no; nella consapevolezza che il di più viene dal maligno. Attitudine che neanche sfiora la mente, e il costume morale, del politicante.


di Cristofaro Sola