Lega, da Bossi a Salvini: la politica non è solo comunicazione

mercoledì 29 settembre 2021


La vicenda di Luca Morisi è emblematica non soltanto della logica della nemesi sempre in agguato, ma soprattutto di una totale indifferenza dei media – salvo eccezioni – per quell’altra logica, quella giuridica che, ironia della sorte, è oggi la voce quasi unica a ribadire la difesa dello spin doctor di Matteo Salvini, che deve essere ritenuto innocente. Ma si legge e si scrive anche da chi si richiama al garantismo: questo è pure frutto proprio del “sistema” Morisi fondato sull’aggressione mediatica del nemico politico e del suo fatale rovesciamento negativo sull’aggressore, come una nemesi. È fin troppo facile, e pure comodo, ragionare in tal modo con un garantismo che procede a zig-zag a forza di “ma” e “però”, mentre al contrario quella garantista è una line retta che tocca tutti, a cominciare da noi stessi.

Detto questo, è importante benché meno interessante per il gossip di social e tv osservare che il magic touch elettoralistico-morisiano per un Salvini “di lotta e di governo” ha funzionato tanto, in quanto quel tocco magico era sostitutivo se non alternativo al tocco politico assente e rappresentava, di fatto, la vera e unica politica leghista funzionale sia ai successi del leader sia alle trasformazioni e al superamento del movimento creato da Umberto Bossi.

Quella di Umberto è stata la storia di una Lega antica, partendo dal separatismo del Nord fino agli approdi con Silvio Berlusconi e al Governo, con una gestione e una attenzione in cui ha sempre prevalso la politica, sia pure con aggiustamenti successivi ma senza perdere un’identità che solo il fare politica è in grado di garantire. Il che ha infatti premiato una presenza massiccia sul territorio, che costituisce una base e una spinta propulsiva, per lo stesso Salvini, della “sua” nuova Lega.

La svolta di Matteo Salvini appartiene di certo ai cambiamenti di rotta inevitabili per i partiti ma ciò che anche il nostro giornale ha evidenziato è che le svolte, come quella dal Federalismo al Nazionalismo populista, non erano fondate su riflessioni, programmi e progetti a loro volta indicativi di visioni del Paese, di nuove mete da raggiungere, di orizzonti di lungo respiro. In altri termini, il passaggio dai tanti “no euro”, “no Europa”, “no vax” ai non pochi sì non solo ha seguito la stagione di Donald Trump ma non ne ha considerato la fine, fidandosi di quel magic touch della strategia di un Luca Morisi convinto di superare con un balzo, grazie a una capace e convinta leadership in campagna elettorale permanente, tutti gli obblighi, gli snodi, le problematiche, le contraddizioni, le giravolte, anche le più vistose. Una strategia di campaigning aggressiva che “massimizzava ogni performance di Salvini e la spalmava h24 su tutti i media, creando un clima d’opinione generale a partire dai sentiment (monitorati incessantemente) che circolavano sui social”.

In questo senso dal leghismo si è passati al salvinismo esattamente come dal nordismo si è passati al sovranismo ma, anche in questo caso, soltanto sulla forza di quella miscela elettorale creata da Luca Morisi e perfetta per Matteo Salvini ma da qualche tempo in difficoltà sia per l’arrivo e la durata della pandemia, sia per l’entrata nel Governo Draghi. Come si dice secondo un antico adagio: il problema è sempre politico per chi fa politica ed è un’illusione credere che alla sua strategia si possa sostituire quella della comunicazione, anche la più abile, la più forte, la più gradita sia a palati di bocca buona che a social compiacenti pronti, come sta accadendo, a gettare fango su chi si esaltava il giorno prima, grazie anche a un anonimato incontrollabile. La comunicazione è in funzione della politica e non viceversa.


di Paolo Pillitteri