La paura fa l’armata? Europa, Russia, Cina dopo Kabul

lunedì 6 settembre 2021


La paura vera fa novanta e la paura immaginaria fa fischiettare di notte per darsi coraggio. L’Europa è impaurita, ma non quanto dovrebbe, dagli ultimi fatti d’Afghanistan. Almanacca se sia venuto il momento di dotarsi di un’armata vera, anziché trascinarsi sulle ginocchia. Affidarsi soltanto ai corpi militari vocati alle missioni umanitarie e all’interposizione tra belligeranti, non basta. Più di un governante ha dichiarato in pubblico che è giunto il momento dell’esercito europeo. Sono decenni che l’idea viene coltivata, dopo il fallimento della Ced, Comunità europea di Difesa, nel 1954. Non se n’è fatto nulla, anche perché sopperiva la Nato, gli Usa in buona sostanza.

La ritirata dall’Afghanistan ha fatto sospettare agli europei che forse, o senza forse, gli Americani non siano più disposti a “morire per l’Europa” sempre e comunque. Anzi. Alcuni, politici e politologi, sembrano convinti che il sospetto sia una certezza: troppi i segni che gli Usa siano alquanto stufi di pagare per noi, forse addirittura disinteressati alle sorti del Vecchio Continente, dove hanno lasciato migliaia di morti. La Russia, “il nemico della Nato”, cerca in Europa di conservare il controllo di Stati confinari alla stregua di una cintura di sicurezza nazionale. Non pare più interessata a conquistarla, la vecchia Europa. Per farne che, poi? È già mansueta poiché inerme! Tuttavia la Russia continua a curare il suo interesse nazionale, anche manu militari. All’annessione della Crimea, in violazione pure degli Accordi di Helsinki, l’Ue ha risposto con le sanzioni, mentre Angela Merkel diceva sì al gasdotto di Vladimir Putin. Davanti alla sollevazione filorussa del Donbass ucraino, l’Ue “aspetta e vede”.

Quanto alla Cina, è più vicina di quando era lontana. In ogni senso. L’Esercito popolare non smette di armarsi. La tendenza dei Cinesi a sopraffare e conquistare è incontestabile. Inquietante. Considerano l’indirizzo come un loro diritto, mentre rappresenta una brutale politica del fatto compiuto. L’annessione del Tibet, l’asservimento degli Uiguri, l’assoggettamento di Hong Kong dimostrano che, contrariamente agli Americani incapaci d’esportare la democrazia, i Cinesi sono capacissimi ad esportare la dittatura. Nondimeno, contro la Cina, non ci serve al momento un esercito europeo. Per gli Usa, invece, lo Stretto di Taiwan e il Mar Cinese Meridionale sono acque ribollenti dove lo scontro potrebbe essere rovinoso e chiamarci in causa come alleati. Quando gli Usa chiedessero il nostro aiuto, risponderemmo in ordine sparso? Manderemmo contingenti in missione umanitaria?

Il dibattito sull’esercito europeo (che non vuol dire reparti nazionali integrati o comando integrato bensì forze armate reclutate unitariamente e poste agli ordini del legittimo governo europeo), innescato dal ritiro degli Usa dall’Afghanistan, sembra rituale e stantio, occasionale e superficiale, senza neppure la parvenza della drammaticità implicata, che dovrebbe connotarlo. Alla premessa ricognizione delle necessità, per quanto timida e disarticolata, non segue l’inderogabile conseguenza politica, consapevole e coerente. I dirigenti europei danno l’impressione di parlare pour épater le bourgeois, per far colpo. Vogliono sembrare compresi della situazione, ma declamano propositi irrealistici. Sono ben coscienti che, stando così le cose, l’esercito europeo tecnicamente inteso resta un pio desiderio. Finché gli Europei non decideranno di costituire gli Stati Uniti d’Europa (chi ci sta ci sta), l’esercito europeo rimarrà una chimera. Senza l’Unione federale, un esercito federale sarà irrealizzabile perché questo è l’espressione intrinseca della sovranità di quella. Auspicare l’esercito europeo contraddice la dichiarata avversione al governo federale dell’Europa.

La gigantesca ombra illiberale (politica, militare, tecnologica) che spande l’Oriente vicino e lontano dovrebbe ricordare all’Europa l’ammonimento di Churchill ai Comuni nel novembre 1938, due mesi dopo l’Accordo di Monaco, che egli solo definì giustamente “una totale e assoluta disfatta” al contrario degl’illusi britannici e francesi che cedettero al fuhrer e al duce. Ce lo ricorda Andrew Roberts nella sua monumentale biografia: “Faremo un ulteriore enorme sforzo per rimanere una grande potenza o ci lasceremo scivolare su strade che appaiono più facili, più comode, meno aspre e meno moleste, con tutte le terribili rinunce che tale scelta comporterebbe?”


di Pietro Di Muccio de Quattro