Storari in un gioco più grande di lui

giovedì 5 agosto 2021


La notizia è questa: il Consiglio superiore della Magistratura ha rigettato la richiesta del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi di spostare ad altra sede con urgenza il pubblico ministero di Milano Paolo Storari, quello che mesi fa era entrato in polemica col procuratore capo Francesco Greco, per ritardi ed omissioni nelle indagini sulla associazione segreta Ungheria, di cui aveva parlato l’avvocato Amara nel corso di alcuni interrogatori. E che sia una vera notizia non si può dubitare, per il semplice motivo che da quando era cominciato a rendersi pubblico lo scandalo delle correnti della magistratura – del quale prima tutti sapevano ma nessuno osava parlare – cioè dal 2019, e in particolare dalla nomina di Salvi, il Consiglio aveva sempre fatto da sponda ai “desiderata” della Procura generale, in tema di sospensioni, trasferimenti, punizioni disciplinari.

Emblematico il caso personale di Luca Palamara, processato, giudicato e radiato dal Consiglio a tempo di record, senza ammettere alcuna delle testimonianze da lui richieste a discolpa, che erano evidentemente valutate dal Consiglio troppo pericolose per la credibilità stessa della istituzione giudiziaria: bel giudizio davvero, dunque, un giudizio che non ammette le prove a discolpa, per timore di ciò che potrebbe venir fuori. Accenno appena al fatto che chi scrive era stato sul punto facile profeta. Oggi, la musica sembra del tutto cambiata. Il Consiglio rigetta una specifica richiesta di Salvi, aprendo uno scenario nuovo attraverso il quale dobbiamo cercare di capire, per quanto possibile, il posizionamento dei vari protagonisti. Propongo di leggere l’intera vicenda, sdoppiandola in due sotto-vicende che, pur collegate, non sono sovrapponibili.

La prima sotto-vicenda vede contrapposti Storari, da un lato, critico verso la inazione del Procuratore Capo Greco e dell’aggiunto Pedio e, dall’altro lato, questi ultimi: con Storari stanno anche il novanta per cento dei pubblici ministeri milanesi, i quali hanno scritto una lettera aperta di sostegno al collega, allo scopo di scongiurarne il trasferimento d’ufficio richiesto da Salvi, che sta dalla parte di Greco, perseguendo Storari. Intanto, la Procura di Brescia indaga su Greco e su Laura Pedio proprio in forza delle critiche mosse da Storari.

La seconda sotto-vicenda vede invece contrapposti, da un lato, Davigo, che riceve i verbali secretati da Storari facendone un uso a dir poco originale perché non istituzionale e, dall’altro, Ardita, unico e solo nome dell’associazione Ungheria reso pubblico da Piercamillo Davigo, ma anche Greco e Pedio. E dunque Salvi starebbe contro Davigo e a favore di Sebastiano Ardita. Ma il Consiglio Superiore rinnega la richiesta di Salvi, finendo con l’appoggiare indirettamente la posizione di Davigo contro Ardita. Intanto, la Procura di Brescia indaga su Davigo e Storari. È di tutta evidenza che queste due sotto-vicende sono strettamente collegate, in quanto l’anello di congiunzione è costituito da Storari, il quale credo in buona fede cercasse in Davigo solo il conforto di un consiglio o di un suggerimento da parte di un collega più anziano: invece ha ricevuto una bella imputazione per rivelazione di segreti d’ufficio dovuta all’uso sconsiderato che di quei verbali ha fatto quello che doveva essere il suo consigliere.

Tuttavia, anche se collegate, le due sotto-vicende sono e devono restare distinte, perché da un lato si scontrano tutti i pubblici ministeri di Milano contro il capo della Procura e il suo aggiunto, appoggiati da Salvi e, dall’altro, Davigo contro Ardita. In mezzo, Storari sembra non sapere che pesci pigliare, caduto senza volerlo in un gioco più grande di lui ove pare non raccapezzarsi per nulla e ove comunque ha vinto il primo round davanti al Consiglio superiore, che, così facendo, ha sconfessato Salvi. Ed è probabilmente quello che in tutte queste storie incredibili, che hanno il sapore di un pirandelliano, grottesco gioco delle parti, sembra meno responsabile di tutti gli altri, perché mosso da un genuino desiderio di giustizia. Ma questo, in Italia, come è noto, è molto pericoloso.


di Vincenzo Vitale