Silete philosophi in munere alieno

giovedì 5 agosto 2021


“Silete theologi in munere alieno”: così, alla fine del XVI secolo, il giurista Alberico Gentili indicava l’uscita dalla scena culturale ai teologi che non avrebbero dovuto occuparsi di questioni che non li riguardavano, cioè del diritto, limitandosi al loro campo teologico senza sconfinare in quello giuridico. Similmente accade oggi, all’inizio del XXI secolo, in cui la comunità scientifica, nonché qualche membro di quella giuridica, sembra intimare ai filosofi di non occuparsi d’altro se non delle loro cervellotiche e strambe astrazioni filosofiche, evitando di sconfinare sul piano della realtà, specialmente quando questa è dominata da un fenomeno pandemico a cui bisogna far fronte con ogni mezzo messo a disposizione dalla scienza e dalla tecnica.

In sostanza, l’ostracismo culturale che la teologia ha subito dal diritto in passato, oggi la filosofia sembra subirlo dalla scienza.

Tuttavia, come ha notato Rudolf Lotze “calcolare il corso del mondo non significa comprenderlo”, così che la filosofia, per quanto possa apparire lunare e irreale, si rivela ancora oggi come l’unica forma di pensiero in grado di interrogarsi sul “perché” di tutte quelle discipline che invece si limitano a fornire soltanto il “come” del mondo. In questo senso la filosofia è e rimarrà sempre l’unica forma essenziale di conoscenza autentica, ben oltre il dato tecnico e la mutevolezza dei tempi della storia, poiché solo nel pensiero filosofico l’umano interroga se stesso nella profondità del suo essere.

Ecco perché la filosofia è universale e si trova alla base di ogni altro sapere; ecco perché ogni altro sapere non può prescindere dalle domande di senso che la filosofia pone. I saperi specialistici, come per esempio quelli derivanti dalle singole scienze positive (chimica, fisica, biologia), infatti, sebbene possano dare ragione del mondo, almeno di quella parte di mondo che si sottopone alle loro indagini, non possono dare ragione del mondo intero, cioè di tutta quella parte della realtà che non è sottoposta alle loro investigazioni, e, soprattutto, non possono dare ragione di se stessi: questo compito, volenti o nolenti, è infatti proprio quello della filosofia.

Se ciò vale per i saperi “duri”, a maggior ragione vale per gli altri tipi di conoscenza, come quella economica, quella sociale, quella politica, quella giuridica, quella etica.

Ecco perché Eraclito riteneva che fosse “necessario che i filosofi siano buoni indagatori di molte cose”, e perché i filosofi si sono occupati di praticamente tutti gli ambiti della vita e della realtà, da quella fisica a quella metafisica, da quella empirica a quella teoretica, da quella sperimentale a quella trascendentale, interrogandosi sul bello, sul giusto, sul bene, su cosa siano la salute o lo Stato, la comunità politica o il bene comune, il compito del medico o i limiti del potere, sulla natura del diritto o della scienza, e così via.

Ecco perché i filosofi sono spesso invisi all’opinione pubblica così come al potere costituito, poiché il porre domande anche fastidiose e scomode, come ha sottolineato Pierre Hadot, è la inossidabile vocazione del filosofo, così come tramandata, attraverso la storia e le diverse correnti di pensiero, da Socrate in poi. Il filosofo, infatti, interroga, investiga, chiede, pone la domanda ulteriore anche quando sembra che siano state elargite tutte le risposte in grado di escludere proprio la domanda ulteriore che invece puntualmente si presenta come l’alba dopo la notte. Il filosofo, del resto, quello autentico almeno, non insegna la filosofia, ma insegna a filosofare, cioè indica il corretto metodo del pensiero.

In questo senso Immanuel Kant ha chiarito che “non si può imparare alcuna filosofia; perché dove è essa, chi l’ha in possesso, e dove essa può conoscersi? Si può imparare soltanto a filosofare, cioè ad esercitare il talento della ragione nell’applicazione dei suoi principi generali”. Rifiutarsi di apprendere dai filosofi il metodo del pensiero, oltre che una mancanza di umiltà intellettuale, significa esattamente rifiutarsi di pensare con metodo, cioè, in ultima analisi, rifiutarsi di pensare compiutamente. Anche quando si intende rigettare l’inderogabilità del pensiero filosofico si filosofa pur ignorando di farlo, e per lo più senza metodo, cioè disordinatamente, con inequivocabili ed evidenti disastrosi risultati. Il pensiero filosofico, infatti, è per sua natura totale e totalizzante e pervasivo, ma non totalitario come il pensiero ideologico, poiché diversamente da quest’ultimo è liberante in quanto volto a scoprire e non a nascondere la realtà, è diretto a liberare la verità e non ad alterarla, è vocato ad esprimere la comune e universale razionalità dell’uomo e non la conoscenza di una ristretta élite.

In questo senso la filosofia è scienza della verità come la intendeva Aristotele, invitando tutti – anche coloro che la snobbano – a trovare le giuste risposte soltanto che si abbia l’umiltà di porre i giusti interrogativi, come quelli per cui Socrate fu condannato a morte dagli “esperti” della sua epoca che non ne tolleravano il filosofare. Vivendo in un’epoca caratterizzata da una indigenza filosofica oramai intollerabile, dunque, sta a noi scegliere da che parte stare: dalla parte della ragione espressa dal pensiero filosofico o dalla parte dei suoi miopi accusatori.


di Aldo Rocco Vitale