I pm non possono essere i sacerdoti della giustizia italiana

mercoledì 21 luglio 2021


A leggereRepubblica la procura di Genova – dopo anni di indiscrezioni fatte filtrare, titoli sui giornali, pagliacciate grilline (e non) in Parlamento e pensosi panegirici televisivi dei vari Roberto Saviano – si accinge a chiedere l’archiviazione della famosissima indagine sui famigerati 49 milioni di euro di rimborsi di soldi pubblici asseritamente fatti sparire dalla Lega di Matteo Salvini.

Un’indagine per sospetto riciclaggio finita nel nulla che adesso passerà il proprio testimone, spuntato, a quella di Milano che nel frattempo aveva aperto un’altra inchiesta sullo stesso reato, con buona pace dell’ormai dimenticato “ne bis in idem”. In Italia, infatti, i magistrati se credono possono nei fatti processarti e riprocessarti anche tre o quattro volte per lo stesso fatto-reato, basta che gli cambino qualche cavillo nelle contestazioni degli ormai innumerevoli articoli di legge. È uno degli effetti collaterali del panpenalismo di cui tutti parlano e che consiste nell’emanazione di norme penali a raffica su qualunque fenomeno dello scibile umano.

E proprio questo fenomeno – politico – di panpenalismo ha portato i pm a diventare i sacerdoti di una chiesa praticamente “satanica” che decide quali riti officiare e in che maniera di volta in volta. Questi signori che vanno poi in Parlamento a tentare di distruggere con accorati appelli le proposte timide contenute nella riforma Cartabia – approfittandosi del cancan mediatico abilmente orchestrato da giornali e gruppi editoriali televisivi amici, se non complici di questo andazzo ieratico dell’Amministrazione della giustizia penale – quello che non dicono è che se c’è una tale situazione, per cui sembrano pochi tre anni per concludere un giudizio di appello e uno e mezzo per chiuderlo in Cassazione, la colpa è essenzialmente la loro.

Così come è “loro” responsabilità l’estinguersi del 70 per cento dei procedimenti per prescrizione prima del rinvio a giudizio, addirittura, come tutti sanno benissimo. “Loro” sono gli stessi che aprono un’inchiesta e pretendono di portarla a termine, costi quel che costi, su ogni notizia che sentono la mattina al giornale-radio. Dall’appropriazione indebita di una gatta da parte di una condomina che ha cambiato casa – fatto avvenuto a Roma e finito nella cronaca locale del Messaggero – fino ai remake delle grandi inchieste sulle stragi terroristiche finite più volte nel nulla negli anni a cavallo tra i ’60 e gli ’80, da piazza Fontana a Bologna, passando per la strage di piazza della Loggia a Brescia.

Pm sacerdoti si è detto. Ma anche pm storiografi, sociologi e infine moralisti da prestare alla politica che, dopo avere gettato nel corso dei decenni la nostra Amministrazione giudiziaria in questa caciara, adesso si lamentano se qualcuno ci vuole mettere una pezza. Da una parte l’alibi della obbligatorietà dell’azione penale – introdotta in Italia dal fascismo con il codice Rocco e mai più tolta o temperata – e dall’altra il filtro arbitrario di chi questa azione penale nei fatti esercita. Possibilmente senza inutili vincoli di legge come la prescrizione o la tenuità del reato.

Tutto va perseguito e stigmatizzato sui giornali. Se non si riesce ad arrivare a sentenza neanche in 20 anni niente paura: l’importante è sbattere in prima pagina il mostro, politico o comune, che si vuole indicare al pubblico ludibrio. La sentenza per lor signori è quella che si legge nei talk-show, con attori che recitano stralci di intercettazioni telefoniche. E a ben vedere è anche inappellabile. Questo andazzo a molti fa comodo: ci si costruiscono sopra carriere in magistratura, in politica e nell’editoria.

Se poi qualche malcapitato si fa venti anni da innocente in carcere... chi se ne frega. Se qualcuno protesta per questa fabbrica di errori giudiziari che sta diventando la giustizia italiana, si può sempre usare lo scudo che evoca sensi di colpa dell’immaginario collettivo per “le grandi inchieste per mafia che rischiano di finire nel nulla”. E si possono sempre evocare i numi tutelari dei magistrati martiri degli anni passati. Anche se questi ultimi si rivolteranno ormai nelle tombe, visto che spesso coloro che continuano a riempirsene la bocca sono gli stessi – o gli eredi morali degli stessi – che quando erano in vita fecero di tutto per ostacolarne le indagini e boicottarne la carriera.


di Dimitri Buffa