Una pernacchia in onore di Marco Travaglio

venerdì 2 luglio 2021


“Io non posso assumere una decisione solo con il cuore se la mia testa mi suggerisce che il percorso è sbagliato, non posso prestarmi a un’operazione in cui non credo”. Beppe Grillo deve decidere “se essere il genitore generoso che lascia crescere la sua creatura in autonomia o il genitore padrone che ne contrasta l’emancipazione”. “Non ha senso limitarsi a imbiancare una casa che ha bisogno di profonde ristrutturazioni. E io ho sempre detto che non mi sarei prestato a operazioni di pura facciata”. “Una diarchia non può essere funzionale, non ci può essere un leader ombra affiancato da un prestanome. E in ogni caso non potrei essere io”.

Questo è il pensiero di Giuseppe Conte il quale ha respinto al mittente l’invito di Beppe Grillo a fare il “testa di legno” in nome e per conto “dell’Elevato”. Pazienza, non esistono più i “testa di legno” di una volta, quei bravi ragazzi alla Luigi Di Maio o Roberto Fico (a puro titolo di esempio) che in cambio del posticino si mettono su due zampe e poi ti portano anche il giornale e le ciabatte. Beppe deve essersela presa molto per lo scarso servilismo e ha pubblicato un post in cui sostanzialmente ha dato del testicolo a Giuseppe Conte. Sarebbe troppo facile rimproverare al Garante del Movimento 5 stelle di essersi accorto troppo tardi delle scarse doti di Conte e cioè dopo averlo imposto due volte come premier e una volta come capo politico in pectore. Beppe Grillo mente, cambia idea e provoca per cercare di buttarla in caciara.

Qui non è questione di novelli testicoli, il problema è squisitamente politico e riguarda una serie di equilibri che attengono alla sopravvivenza dei pentastar. Giuseppe Conte vuole normalizzare definitivamente il Movimento, ancorandolo alla sinistra e capitalizzando la visibilità ottenuta durante il picco della pandemia, scippando la borsetta al fondatore che ormai non incanta più nemmeno gli ignoranti. Ciò però taglierebbe fuori Beppe Grillo rendendo marginale il suo modo di fare politica incentrato su rutti, peti e vaffanculi. Per giunta ciò esporrebbe il fianco a una scissione dell’anima più movimentista che con Alessandro Di Battista punterebbe a soffiare sotto il naso di Grillo tutti i voti di protesta. Se Beppe Grillo si piegasse a Giuseppe Conte sarebbe schiacciato tra due fuochi e cioè dal soggetto moderato (il nuovo movimento guidato da Conte) da un lato e dall’altro da “Rifondazione grillina” guidata dal Dibba.

Il fondatore non può condannarsi all’irrilevanza per cui ha scelto il male minore: cedere sul campo la quota moderata di voti grillini compresi i relativi dirigenti che seguiranno Giuseppe Conte, temendo di non essere nuovamente in Parlamento in virtù della regola dei due mandati. Il tutto sperando che la deriva centrista capeggiata da “Giuseppi” peschi in termini elettorali più dal bacino targato Partito democratico rispetto ai simpatizzanti pentastar. Il calcolo del comico genovese non è totalmente peregrino: sono giorni che gli esponenti democratici continuano incessantemente a sperticarsi in pubbliche lodi alla volta dell’ex premier. Come se volessero inglobarlo, disinnescando “l’effetto Conte” sul loro bacino elettorale. Accogliendolo al Nazareno, i democratici vorrebbero, a loro volta, raspare in fondo al barile grillino per vedere se per caso qualche voto rimane attaccato alla pochette del professor Conte. Insomma, i giallorossi sono fratelli più che alleati. Atteso che la mossa di Beppe Grillo è stata quindi attentamente ponderata per limitare il danno in termini elettorali (i grillini versano già in stato comatoso), ciò che potrebbe essere maggiormente intaccato è l’equilibrio globale: per fare il movimentista, Grillo dovrebbe uscire dal Governo (come del resto ha chiesto Alessandro Di Battista) lasciando Enrico Letta con il cerino in mano in un Esecutivo a trazione centrodestra. Salterebbero, inoltre tutti, gli accordi flebili e sottobanco sulle elezioni locali ma – cosa ancor più grave – quelli sul nuovo Capo dello Stato.

Beppe Grillo è a un bivio e si sta giocando tutto per assicurare a sé stesso il controllo sulla sua creatura politica anche se ciò significasse implosione: le menate sulla democrazia diretta, uno vale uno, i cittadini contro la casta. Tutta una farsa dietro cui si celano le solite pratiche della politica: lacerazioni tra correnti, scissioni e personalismi. Marco Travaglio adesso ci venga a raccontare che quello di Silvio Berlusconi è l’unico partito azienda fondato nell’esclusivo interesse del leader. Se lo facesse, saremmo lieti di intonare una sonora pernacchia in suo onore.


di Vito Massimano