Carceri e pestaggi: Bonafede perché guardi e non favelli?

venerdì 2 luglio 2021


Il pestaggio dei detenuti del carcere “Francesco Uccello” di Santa Maria Capua Vetere è orribile. Non c’è niente che lo possa giustificare. Tuttavia, in uno Stato di diritto le garanzie debbono valere per tutti: per le vittime e per i presunti carnefici. Anche per i 52 agenti e funzionari della Polizia penitenziaria indagati per le violenze del “lunedì nero” di Santa Maria Capua Vetere (era il 6 aprile 2020) vale la presunzione d’innocenza e sbatterne le facce in prima pagina è un abuso non meno grave dei fatti contestati. Siamo alle solite, l’Italia dei benpensanti si lava la coscienza mettendo alla gogna i “mostri”. E volta pagina in tutta fretta: “Sono loro i bruti, il sistema è giusto e noi siamo innocenti”.

Eh no, signori! Troppo comodo cavarsela così. È facile prendersela con gli ultimi anelli della catena per evitare guai a chi sta sopra, a chi muove i fili dall’interno delle istituzioni. La violenza nel carcere casertano segue di qualche settimana un’ondata di sommosse provocate in altri istituti di pena da detenuti in rivolta. Tutto ha inizio il venerdì 7 marzo dello scorso anno, quando in Italia dilaga il contagio da Covid-19. I reclusi, nel weekend del 8 e 9 marzo, col pretesto della mancanza di assistenza sanitaria idonea a proteggerli dal rischio di essere infettati, mettono a ferro e fuoco 70 delle 189 prigioni presenti sul territorio nazionale. La cronaca non mente: carceri in fiamme e detenuti evasi. Tra i rivoltosi si registrano dei morti. Si sospetta per overdose.

Le forze dell’ordine sono colte di sorpresa: nessuno le ha avvisate dell’imminente pericolo. Comprensibile la frustrazione degli operatori penitenziari nel dover rincorrere la soluzione quando, se preavvertiti, avrebbero potuto impedire che accadesse il peggio. Di chi la responsabilità? Tanto per rinfrescare la memoria: in quei giorni al Governo c’era la sinistra con i Cinque Stelle. A Palazzo Chigi c’era l’ineffabile Giuseppe Conte; al ministero della Giustizia Alfonso Bonafede, il “manettaro” grillino. Teniamoli bene a mente questi nomi perché è loro la colpa di non aver tempestivamente dichiarato l’emergenza carceri, dopo aver dichiarato l’emergenza sanitaria e l’emergenza economica.

Per gli investigatori l’esplosione simultanea della violenza non è frutto di una casualità ma c’è una regia occulta della ribellione che ridefinisce la mappatura delle mafie italiane. Lo conferma un esperto la cui analisi è contenuta nel report “Parallel Contagion” del giornalista Sergio Nazzaro, portavoce del presidente della Commissione parlamentare antimafia, realizzato per il Global initiative against transnational organized crime. Sostiene la fonte interpellata: “Le rivolte hanno disegnato anche una precisa mappa delle mafie italiane. In Calabria non c’è stato quasi nessun problema, perché la ’ndrangheta controlla le carceri, non voleva nessun problema. Loro hanno interessi fuori, non avevano nessuna intenzione che ci fosse attenzione sul territorio. In Sicilia abbiamo avuto che la mafia ha partecipato quasi simbolicamente, i problemi anche lì sono stati molto contenuti, una partecipazione di facciata. I problemi maggiori li abbiamo avuti a Napoli, in Campania, dove la camorra ha uno stile colombiano.

A beneficio degli scarsi in geografia, Santa Maria Capua Vetere è in Campania. È dunque in tale contesto che matura la presunta condotta illegale degli operatori della penitenziaria. Dalle immagini divulgate dal quotidiano “Domani” si evince chiaramente la partecipazione alla repressione non di un gruppo di facinorosi sfuggiti alla catena di comando ma di una schiera di agenti impegnati in un’operazione pianificata. Un detenuto, vittima della violenza, dichiara di aver visto la direttrice del carcere, Elisabetta Palmieri, brandire un manganello (l’interessata smentisce e minaccia querele). Tuttavia, i fotogrammi resi pubblici provengono dalle registrazioni degli impianti audiovisivi della casa circondariale. Si presume che gli operatori fossero consapevoli che l’azione, nei suoi particolari, sarebbe stata ripresa dalle telecamere del circuito interno.

Ora, la domanda è: hanno agito perché sicuri di restare impuniti? Se la risposta fosse affermativa bisognerebbe aggiungere ai capi d’imputazione l’aggravante della stupidità. Come ci si può abbandonare alla violenza più brutale e pensare di farla franca? Il caso Cucchi” non ha insegnato niente a nessuno? A escludere l’ipotesi dell’agire per senso d’impunità di quattro scalmanati, però, sono stati i magistrati della Procura del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che hanno ottenuto dal Gip una misura interdittiva a carico del provveditore delle carceri della Campania, Antonio Fullone. Per l’accusa, la catena delle responsabilità travalica le mura del carcere per toccare livelli superiori di comando, dove si ragiona a mente fredda e si pianifica al riparo da moti d’ira.

Prende corpo il sospetto che l’ordine di usare la mano pesante contro i detenuti sia partita dai piani alti del ministero della Giustizia. Che in questa storia si avverta puzza di bruciato non si fa fatica a capirlo. Perché il Partito Democratico si è buttato a capofitto in una stucchevole giaculatoria contro le “mele marce” della Penitenziaria e sui mandanti morali della violenza che starebbero (tanto per cambiare) nei partiti della destra ma non ha detto una parola sul silenzio assordante dell’ex ministro della Giustizia? C’entra forse la delicatissima fase che sta attraversando il Cinque Stelle e la necessità degli ipocriti del Nazareno di non disturbare il manovratore Giuseppe Conte nell’atto di far fuori politicamente Beppe Grillo? La sinistra, maestra di manipolazione della realtà, ha alzato una cortina fumogena di becero moralismo d’accatto per tenere lontana l’opinione pubblica dalle sole domande che in questo momento potrebbero condurre alla chiarezza sulle motivazioni a monte del comportamento degli agenti. Domande che puntano in una sola direzione: chi ha dato l’ordine del pestaggio? Il ministro Bonafede poteva non sapere? Il vertice del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, era stato informato dal referente regionale circa la decisione di procedere a “un’ispezione straordinaria” nella casa circondariale sammaritana. L’allora capo del Dap, Francesco Basentini (si dimetterà il successivo 2 maggio, ma per altre ragioni), avrebbe dovuto informare Bonafede non fosse altro perché è stato proprio il grillino a metterlo su quella poltrona preferendolo al più quotato giudice Nino Di Matteo. Lo ha fatto? E Bonafede, se fosse stato di principio contrario all’uso della forza bruta perché, quando sono affiorate le prime denunce, non ha lui avviato un’inchiesta interna per stabilire ruoli e responsabilità della catena di comando nella vicenda?

Lascia perplessi anche la dichiarazione dell’attuale ministro della Giustizia, Marta Cartabia: parlare di tradimento della Costituzione è roba da sepolcri imbiancati. Lo si scopre oggi perché ci sono i filmati ma è noto da tempo che una dose di violenza c’è sempre stata nelle dinamiche tra detenuti e guardie carcerarie per stabilire le gerarchie all’interno di quel mondo separato che, dai tempi di Asylums di Erving Goffman (1961), gli intellettuali à la page amano definire le “istituzioni totali”. Si dia una scorsa a quel capolavoro di Nanni Loy del 1971, interpretato da uno straordinario Alberto Sordi, che è stato “Detenuto in attesa di giudizio” per farsi un’idea di come certe cose, nell’universo carcerario, vanno così da sempre. Ciò non significa che debbano continuare a procedere allo stesso modo ma almeno dalla sinistra pseudogarantista ci venga risparmiata la sceneggiata delle “innocenti verginelle”.

Si vuole, anzi si deve voltare pagina? Si rivoluzioni la cultura dell’esecuzione penale. Prima però, si cominci con l’accertare cosa sia accaduto negli altri istituti di pena interessati dalle rivolte. Ci sono state altre spedizioni punitive? E se sì, ordinate da chi? I 52 indagati di Santa Maria Capua Vetere è giusto che paghino, se verranno confermate le accuse a loro carico. Ma non si faccia di loro altrettanti capri espiatori per nascondere le responsabilità di qualche sodale di Giuseppe Conte. Agli inquirenti della Procura sammaritana diciamo: se vi sta a cuore l’autonomia della giurisdizione dalle ingerenze della politica, andate avanti a indagare senza guardare in faccia a nessuno. E se c’è da salire le scale di Montecitorio o di via Arenula per chiedere conto a qualcuno delle decisioni prese le si salga senza troppi pudori. Stavolta non lo dicono i grillini, rimasti stranamente afoni sulla violenza a Santa Maria Capua Vetere, ma sono i garantisti a gridargli dritto in faccia: verità, verità!


di Cristofaro Sola