Referendum sulla giustizia: una prova di forza

mercoledì 23 giugno 2021


I numerosi distinguo sui referendum promossi dai Radicali e dalla Lega, al netto delle (oggettivamente) disparate motivazioni che li sorreggono, hanno una matrice che li accomuna tutti e tutti insieme: provengono da chi si ostina a non vedere, o a non capire, il problema politico di fondo.

A chi rivendica, magari fondatamente, la primogenitura nella presentazione del disegno di legge costituzionale per la separazione delle carriere dei magistrati, si accosta chi sembra tentato di ripudiare l’iniziativa per i compagni di viaggio. Poi, c’è chi si diffonde in considerazioni tecniche sulla modestia dei risultati prodotti da un esito positivo, seguito da chi, per pudore politico, vorrebbe aspettare la legge che mai verrà.

Nessuno dice le cose come stanno. E le cose stanno esattamente come traspare dalla reazione dei magistrati: si tratta di una prova di forza, non di un dibattito.

I referendum arrivano proprio nel momento in cui il Re è nudo: scandali, inchieste, perdita verticale di prestigio sono l’odore del sangue che attira i predatori politici.

Piaccia o no, la (tutta da misurare) debolezza del gruppo più coriaceo rappresenta un’occasione irripetibile per cambiare le cose che, fino a ieri, erano bloccate causa il veto della corporazione sottratta a controlli e responsabilità.

È una prova di forza, voluta, forse con cinismo politico, da persone con idee e obiettivi diversi, se non confliggenti, decise a fare uso della democrazia diretta per sottrarsi alla palude delle interminabili discussioni pseudopolitiche o di maniera.

Le prove di forza si fanno per vincere, non per offrirsi alle platee degli amici.

Vincere, non solo in politica, è l’unica cosa che conta.

A rapporti di forza cambiati parleremo del resto.


di Mauro Anetrini