giovedì 17 giugno 2021
Le dinamiche che caratterizzano le cinque fasi del processo di radicalizzazione possono realizzarsi in diversi luoghi e tra questi c’è il carcere. La prigione come fabbrica di terroristi, dunque, un fenomeno diffuso in tutti i Paesi dell’Europa occidentale. La presenza di detenuti estremisti che svolgono attività di proselitismo per spingere altri detenuti a radicalizzarsi è un male comune ai sistemi penitenziari di Francia, Belgio, Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia.
In carcere circolano testi che incitano all’odio e alla violenza, mentre possono formarsi reti di jihadisti in contatto con affiliati all’esterno per pianificare attacchi terroristici. Il ritorno dei “foreign fighters” dopo il crollo dell’avamposto territoriale dell’Isis in Siria e Iraq ha accresciuto ulteriormente la preoccupazione sulla gestione di nuovi detenuti estremisti difficilmente de-radicalizzabili e in predicato di svolgere attività di proselitismo.
Il processo di radicalizzazione in carcere ha finora riscosso i maggiori successi in Francia. Adel Kermiche, il giovane che con Abdel Malik Petitjean ha sgozzato il sacerdote cattolico Jacques Hamel della chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray presso Rouen, era stato rilasciato di recente da Fleury-Mérogis, un carcere di massima sicurezza a sud di Parigi, dove aveva trovato la sua “guida spirituale”. Nella stessa prigione si trova ora Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto della strage del Bataclan a Parigi, accolto dai detenuti come un messia. Amedy Coulibaly, l’uomo ucciso a Parigi dopo aver preso degli ostaggi in un supermercato kosher, raccontò a un giornalista francese di essersi interessato all’Islam in prigione: il suo mentore era stato Djamel Beghal, un reclutatore di Al-Qaeda che stava scontando dieci anni di carcere per terrorismo. Nella stessa prigione, Coulibaly aveva incontrato i due fratelli Kouachi, gli attentatori di Charlie Hebdo.
Perché la prigione è un luogo favorevole alla radicalizzazione? Frustrazioni e risentimenti, il sovraffollamento, le condizioni detentive spesso inadatte, la percezione di essere discriminati sono quei fattori che singolarmente o combinati posso determinare le condizioni personali e contestuali adatte all’innesco di processi di radicalizzazione. I detenuti convivono in uno spazio ristretto e ciò favorisce il contatto tra gli “agenti” del proselitismo estremista e soggetti che entrano in carcere come semplici praticanti o non credenti, ma poi finiscono per essere integrati nelle reti jihadiste. Vale l’esperienza francese, con i numerosi attentati di ex piccoli delinquenti trasformati dal carcere in terroristi.
Quali sono gli indicatori che segnalano che un detenuto potrebbe aver intrapreso un percorso di radicalizzazione? Innanzitutto l’aspetto esteriore della cella, decorata con tappeti da preghiera, calligrafie islamiche e graffiti, l’affissione di poster di gruppi terroristici o che richiamano attentati come quello dell’11 settembre. Poi la modifica dell’aspetto esteriore del soggetto, che comincia a indossare abiti più tradizionali o si fa crescere la barba, mettendo in mostra segni esteriori di conversione o di allineamento alla causa jihadista. Alcuni ricorrono alla dissimulazione, la taqiyya dei Fratelli Musulmani, sforzandosi di mantenere un aspetto “occidentale” per passare inosservati.
Dal punto di vista comportamentale, gli interessati prendono le distanze da altri detenuti, musulmani e non, la cui condotta non è conforme all’Islam radicale. Da questi possono persino non farsi toccare, rifiutandosi di condividere le docce, i pasti, l’uso della lavanderia e di partecipare ad attività quotidiane con persone di altra fede religiosa. Mostrano un senso di superiorità, che può indurli ad attaccare soprattutto i musulmani moderati, sia verbalmente che fisicamente.
S’impegnano invece nell’esercitare un’influenza sui detenuti ritenuti maggiormente malleabili, al fine di guadagnarli alle loro idee e portarli a diventare dei veri pii musulmani, inserendoli nei gruppi chiusi che hanno formato e che restano isolati rispetto all’ambiente circostante. A cambiare è anche il comportamento nei confronti delle donne, con cui si rifiutano di comunicare o interagire, stringendo loro ad esempio la mano, mentre non obbediscono più alle istruzioni del personale femminile. In generale, mostrano un comportamento ostile e aggressivo verso l’intero personale penitenziario, degli operatori sociali, degli psicologi e degli avvocati (possono rifiutare un avvocato non musulmano o qualunque avvocato). Ricercano deliberatamente lo scontro verbale con il personale penitenziario, specie con le autorità, o manifestano un’assenza pressoché totale di reazione di fronte a loro, rifiutandosi di rispondere alle domande e disobbedendo alle eventuali sanzioni comminate. Per ottenere la soddisfazione di speciali rivendicazioni, possono sia ricorrere allo sciopero della fame, che aggredire fisicamente il personale penitenziario, compiere atti di distruzione con mezzi pericolosi, provocare incidenti o scatenare sommosse.
Per quanto riguarda il modo di rapportarsi al mondo esterno, i contatti con familiari e amici si diradano, fino alla rottura delle relazioni. D’altro canto, viene manifestato il desiderio di ricevere visitatori sospetti. Gli interessi “culturali” prendono una deriva chiaramente fondamentalista, con l’assidua lettura dei testi di propaganda che fanno l’apologia del jihad e la consultazione di siti web che illustrano storie e ideologie di tipo radicale, nonché le tecniche per la fabbricazione di bombe. La pratica della religione s’intensifica significativamente e diviene più isolata, secondo i rituali tipici dei circoli estremisti. I detenuti radicalizzati o in via di radicalizzazione rifiutano spesso l’imam che gli viene accreditato ed esercitano pressioni per indicare un imam che sia ideologicamente di loro gradimento. Talvolta, la leadership religiosa viene assunta da un “imam autoproclamato”, che dirige le preghiere e le attività di culto collettive, occupandosi anche dei sermoni.
Detenuti non accusati o condannati per fatti associati a terrorismo possono dichiararsi prigionieri politici. Nei commenti sugli avvenimenti politici correnti, si rileva un rigetto totale del sistema democratico, dei valori occidentali e delle costituzioni degli Stati civili poiché in contrasto con la legge religiosa (sharia). Ricorrente è l’affermazione per la quale i musulmani sono vittime di un complotto imperialista internazionale. Le altre religioni sono oggetto di critiche, mentre è continua l’insistenza verso il degrado morale e la decadenza dell’Occidente.
di Souad Sbai