Ex brigatisti scarcerati e la “potenza” della cultura

lunedì 3 maggio 2021


Sono fatti così, autocentrati, sopraffatti dall’autocompiacimento e talmente sicuri di essere incrollabilmente dalla parte del giusto da non avere alcun dubbio in una sorta di spocchiosa e aggressiva arroganza. Ci riferiamo agli intellettò gauche, gente che morirebbe pur di specchiarsi una volta di più non trovando alcun difetto.

Qualche giorno orsono è stata la volta di Michela Murgia la quale, dopo aver sparato ad alzo zero sulle divise e su Matteo Salvini, si è sentita intimidita da un poliziotto (durante un controllo dell’autocertificazione) e dai tanti hater che la perseguitano sui social. Comprendiamo alcune delle paure della signora Murgia ma comprendiamo molto meno il meccanismo in base al quale ella non riesca a comprendere di essere parte integrante di questo sistema che fomenta l’odio.

La signora non dovrebbe lamentarsi a meno che non ritenga che l’odio contro Michela Murgia sia sterco del demonio mentre l’odio di Michela Murgia sia diritto di critica. Poi è stata la volta del vate, del paladino della legalità, dell’uomo con lo sguardo tipico di chi ha una incipiente colite spastica. Ci riferiamo al sommo Roberto Saviano secondo il quale ciò che sta capitando a Mimmo Lucano è un inutile accanimento giudiziario, un processo politico ad opera di una magistratura che sta scivolando nell’abisso. E così il vate ha scoperto che certa magistratura è politicizzata e lo ha scoperto solo oggi dopo che per anni ha inzuppato il biscottino nei processi a orologeria orditi contro i suoi nemici politici soffiando sul fuoco. Ci vuole una bella faccia tosta a parlare di magistratura politicizzata dopo anni in servizio permanente effettivo come dj di “radio- procura”. Ma l’uomo è così, vola troppo alto per accorgersi di non essere credibile, per cogliere quelle bagatelle chiamate contraddizioni.

Fino ad arrivare alla più stretta attualità e cioè alla cattura dei brigatisti rossi che, grazie alla dottrina Mitterrand, sono stati per un quarantennio in Francia a fare la bella vita senza pagare per la carneficina fatta in Patria. Sulla questione abbiamo assistito a diverse reazioni da parte dell’intellighenzia di stanza a Capalbio: alcuni sono stati autenticamente felici per l’accaduto, i più misurati hanno accolto la notizia con il doveroso compiacimento di circostanza (forse ben sapendo che i brigatisti sarebbero stati scarcerati dopo nemmeno quarantotto ore), mentre per molti – rimasti in silenzio tattico – hanno dovuto parlare i social network. Esiste infatti una specie di “post-verità” e cioè la verità che bisogna desumere dalle opinioni dei più attraverso ciò che scrivono nei post sui social quando si sentono indisturbati.

Ebbene, leggendo ciò che scrivono, anzitutto si desume che per i brigatisti rossi scappati in Francia sussiste un cavillo retorico (ad esempio giustamente non concesso a quelli neri) che consiste nel prefisso “ex”. Per giustificare il fatto che secondo loro dovrebbero essere lasciati liberi perché si sono comportati bene in questi anni (di latitanza) e perché d’altronde si tratta di un reato compiuto in giovane età (per il quale non hanno pagato), usano l’esimente dopo aver farfugliato pochi giorni prima (il 25 aprile) di democrazia, libertà, giustizia e violenza nazifascista da condannare senza appello.

Sono teneri questi intellettò gauche perché alla fine resistono poco nei panni dei misurati e sbracano subito cadendo nei soliti anacronistici “appelli” e nel “soccorso rosso” in una sorta di Sessantotto che non è mai finito. E così puntualmente spunta il famoso “manifesto” vergato dai soliti “firmaioli” (questa volta d’oltralpe per non innescare polemiche) in cui si chiede l’immediata scarcerazione dei “rifugiati” (rifugiati, questa è bella) usati come “spaventapasseri” sacrificati “per scopi politici” (quando in realtà invece certa politica li ha coperti per oltre quarant’anni). Messaggio ricevuto insomma: i poveri rifugiati ovvero ex brigatisti sono di nuovo a casa, scarcerati in un batter di ciglia. Potenza della cultura.


di Vito Massimano