Che guaio se Silvio non c’è

mercoledì 28 aprile 2021


Come sta in salute Silvio Berlusconi? Non che ci si voglia impicciare dei fatti personali del vecchio leone di Arcore, ma conoscere le sue condizioni fisiche aiuta a decifrare il futuro prossimo della politica italiana. Perché, intendiamoci: comunque la si giri, Berlusconi non è solo l’imprenditore e il politico di rango che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare in quaranta e passa anni di storia nazionale, da quando con la scommessa delle televisioni commerciali cominciò a rivoltare come un calzino l’ethos e il costume italici.

Il “Cav”, come lo si apostrofava prima che la scure strabica della giustizia gli si abbattesse sul capo, è più di uomo-partito: è il partito. A essere pignoli: è Forza Italia. Ne è stato il creatore, nel 1994. Ne ha modellato la struttura organizzativa in forma di trampolino di lancio verso l’agone politico. L’ha utilizzata come fiche alla grande roulette delle alleanze di coalizione al tempo del bipolarismo dell’alternanza tra destra e sinistra, del quale è stato plasticamente simbolo e incarnazione. Quando gli orfani scaltri del comunismo provavano timidamente a metterla sulla bandiera della finta redenzione, lui si è fatto quercia. Per i suoi sodali e per il suo popolo. Le querce, come si sa, possono essere ultrasecolari ma non quando sono di carne e ossa. E lui, a dispetto dei molti ammiratori che non smettono di amarlo e di volerlo eterno, non è fatto di legno, e neppure di ferro: è umano. Fin troppo umano, come malevolmente hanno insinuato i tanti che hanno fatto le proprie fortune, economiche e professionali, lucrando sulle sue disavventure. Ma, com’è altrettanto noto, sotto le grandi querce non cresce l’erba. E l’erba di Forza Italia – la classe dirigente, gli apparati interni, i quadri direttivi – in un quarto di secolo di vita non è riuscita a crescere come avrebbe dovuto. Così che oggi, che del “presidente”, della sua salute fisica, si hanno notizie striminzite, si sono perse le tracce dell’esistenza in vita della sua creatura politica.

Si sa che sta al Governo (ma tutti i ministri forzisti stanno con Forza Italia?); che appoggia Mario Draghi senza se e senza ma; che c’è una persona perbene e competente (Antonio Tajani) a tenere aperta la ditta, ma quando il capo si è ritirato in Provenza, nei possedimenti di famiglia, per sfuggire al virus che più lesto di lui l’ha raggiunto ugualmente, gli ha lasciato in consegna le chiavi della bella sede romana in piazza San Lorenzo in Lucina, non il carisma del leader. Quello l’ha portato con sé. Al momento Silvio Berlusconi è ancora al San Raffaele di Milano. Per controlli di routine post-Covid, fanno sapere dal suo staff. Ma è lì dal 5 aprile e fonti ben informate prevedono che ci resterà almeno fino al prossimo 13 maggio. Marcherebbe visita per bigiare i processi dell’infinita saga del Ruby Affaire, come sostengono i soliti quattro disperati che sperano di tirarci su qualche quattrino tornando a diffamare il vecchio leone?

Suvvia! E chi ci crede che il “Cav” si darebbe malato per scansare di qualche settimana una sentenza scomoda? Ne ha viste tante in questi anni che una in più non gli guasterebbe l’appetito. E poi, dopo la diga franata delle poco agostiniane confessioni di San Luca Palamara sugli intrighi e sui maneggi del partito dei giudici, chi mai prenderebbe sul serio un verdetto di condanna? No, il presidente sta al San Raffaele perché c’è qualcosa nel suo organismo che non sta girando nel verso giusto. Ed è un grosso guaio, visto l’appropinquarsi delle Amministrative. E ancor più della scelta del prossimo presidente della Repubblica.

Con Berlusconi in campo la coalizione della destra plurale non è in discussione, nonostante la sfida a freccette che sta facendo schizzare in alto i livelli ormonali dei virgulti, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Con Forza Italia saldamente attendata nel campo della destra e con Silvio Berlusconi in partita si vince. Su questo non ci piove. La sua assenza prolungata, invece, alimenta perverse fantasie. Tra i berlusconiani c’è chi ipotizza una liaison del Cavaliere con Giuseppe Conte il tentennante: il non-grillino che cerca di fare del Cinque Stelle un partito a proprio uso e consumo. Costoro, vedove inconsolabili del centro politico di democristiana memoria, si saranno detti: cosa vi sarebbe di strano se Berlusconi riprendesse a organizzare le famose cene del lunedì di Arcore invitando, al posto di Umberto Bossi e Giulio Tremonti, il democristianissimo Luigi Di Maio, magari accompagnato dalla “volpe della Soresina”, Danilo Toninelli? Ma siamo mica matti?

È fantasia perversa anche quella di chi in casa azzurra, stando a quanto scrive il quotidiano romano Il Tempo, per le prossime Amministrative capitoline starebbe guardando con interesse a una confluenza al centro insieme a Carlo Calenda e Matteo Renzi nel nome di Mario Draghi protettore dei moderati, da fare santo subito. Avere insani desideri verso un morto (la Democrazia Cristiana) è una patologia: si chiama necrofilia. Gli “azzurri” che bazzicano la Capitale l’hanno dimenticata la scoppola alle Amministrative di Roma del 2016, rimediata grazie a quella genialata dell’appoggio alla candidatura del “moderato brillante” Alfio Marchini? In quell’occasione il liberi-tutti nel centrodestra recò un danno inutile a Giorgia Meloni che rimase fuori dal ballottaggio contro Virginia Raggi. In compenso, Forza Italia raggranellò un ricco (si fa per dire) bottino: il 4,7 per cento dei consensi e un solo consigliere eletto. Evidentemente i forzisti romani hanno pensato che anche un consigliere sia troppo per loro, per cui valga la pena in futuro di sedere dalla parte del pubblico a Palazzo Senatorio. Complimenti!

E fosse soltanto Roma il problema. C’è da definire le candidature del centrodestra per le grandi città metropolitane che vanno al voto in autunno. E non solo. Ci sono i Comuni più piccoli. Anche quelli contano se si pensa di tornare al governo del Paese. È dal basso che si costruisce il consenso. A maggior ragione adesso che non c’è più un leader carismatico che vada in televisione a dire agli italiani: ghe pensi mi. Mai come ora serve alla destra plurale che Berlusconi batta un colpo e rimetta in riga i suoi. Il vecchio leone di Arcore ci ha abituato in passato a sorprendenti resurrezioni (politiche) quando tutti, amici e nemici, lo davano per spacciato. Provi allora a fare quest’ultimo miracolo della Pasqua laica: ritorni tra noi prima che sia troppo tardi. Perché senza di lui c’è il rischio concreto che la maggioranza degli italiani, anche la prossima volta che si andrà alle, urne perda il treno della Storia per colpa di una classe politica di destra più interessata a fare chicchirichì sul mucchietto di cenere nell’orticello di casa che a compattarsi per vincere. Sarebbe il momento di riprendere a marciare insieme per colpire uniti. Con buona pace di Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke.


di Cristofaro Sola