martedì 27 aprile 2021
Le cronache riportano da alcuni giorni il caso del giudice milanese Piero Gamacchio, molto conosciuto e stimato come professionista serio, capace e responsabile di diverse decisioni importanti in procedimenti altrettanto importanti, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello. Ebbene, Gamacchio si è messo in pensione con oltre due anni di anticipo, perché è venuto fuori che da alcuni anni evitava di pagare i creditori presso i quali tuttavia continuava a servirsi come nulla fosse: ristoranti, bar, negozi di vestiario.
Questa inspiegabile omissione di pagamenti poteva andare avanti senza alcuna reazione alcuni mesi al più, ma siccome ormai si protraeva da anni era fatale che i creditori reagissero, come infatti è accaduto. Alcuni di loro hanno dunque ottenuto decreti ingiuntivi a carico di Gamacchio, pignorandogli – dicono le cronache – anche un quinto dello stipendio, come la legge permette che sia. Ciò significa che neppure dopo che gli furono notificate le ingiunzioni di pagamento, ben prima cioè che si desse corso al pignoramento, Gamacchio decise di pagare il dovuto, preferendo attendere ancora. Cosa attendeva? Non si sa con certezza. Forse sperava che i creditori si fermassero o rinunciassero, cosa davvero improbabile dopo aver ottenuto già una ingiunzione di pagamento a proprio favore, forse già dotata di forza esecutiva.
Con maggiore certezza, invece, si può affermare che egli – da giudice in piena funzione a Milano – ha sbagliato clamorosamente a fare i suoi conti. E non alludo ai conti in senso economico, ma in senso esistenziale. Infatti, se Gamacchio non pagava i conti, non può certo esser definito un semplice “scroccone”, come alcuni si son affrettati a chiamarlo, incarnando invece un tipo umano assai diverso.
“Scroccone” è infatti colui che, per vocazione insopprimibile, cerca di vivere alle spalle degli altri in ogni occasione, propiziando che questi altri paghino per lui: tuttavia, egli non lascia insoddisfatto il suo creditore, proprio perché a pagare sono altri al suo posto. Si pensi all’amico che prima ti invita al ristorante e poi ti induce a pagare il conto della cena. Il conto è stato comunque saldato, benché da chi non vi era tenuto. A rimanere insoddisfatti sono appunto questi altri, i pagatori per conto altrui. Invece, in questo caso, nessuno pagava al posto del giudice, il quale semplicemente lasciava insoddisfatti i suoi creditori e perciò non era un semplice scroccone.
Perché lo faceva? Probabilmente gli faceva comodo, come sarebbe stato comodo per ciascuno di noi. Piuttosto, bisogna chiedersi qualcosa circa la motivazione di fondo che lo induceva a ritenere che poteva permetterselo, perché nessuno avrebbe reagito in alcun modo. E cercando di capire, viene la malinconia in quanto è forte la tentazione di credere che tanto lui ritenesse in quanto, indossando la toga, pensava che nessuno avrebbe osato in alcun modo attaccarne i comportamenti sconvenienti, come infatti è accaduto per diversi anni. La toga, insomma, come riparo, come involucro protettivo che consenta di fare ciò che invece ai comuni mortali rimane interdetto, come lasciapassare personale per giungere a scopi che per tutti gli altri rimangono irraggiungibili.
Ancor più significativo poi che Gamacchio si sia subito premurato di precisare che questa imbarazzante situazione non ha per nulla influenzato il suo operato di giudice, le sue decisioni nel corso del tempo. Ammirevole conclusione da almeno due versanti. Per un verso, perché ripropone una autentica autoassoluzione messa in opera da Gamacchio nello stile italico ben conosciuto da tempo; per altro verso, perché esprime in modo esemplare la verità del celebre ammonimento “excusatio non petita, accusatio manifesta”. E ciò basta.
di Vincenzo Vitale