giovedì 22 aprile 2021
Il disegno di legge Zan “contro l’omotransfobia” trova oppositori anche a sinistra. Un appello, che pur condividendone le finalità, lo definisce “una proposta pasticciata e incerta” di dubbia conformità alla Costituzione e “un manifesto ideologico” – ma propone solo di emendarlo – è stato diffuso su Facebook ed è stato firmato da oltre 200 persone collocabili a sinistra, tra cui il filosofo Giuseppe Vacca, presidente onorario dell’Istituto Gramsci, la filosofa Francesca Izzo, la storica Emma Fattorini, la regista Cristina Comencini e l’ex presidente dell’Arcigay, Aurelio Mancuso.
Nell’appello il Ddl viene definito “un manifesto ideologico, che rischia di mettere in secondo piano l’obiettivo principale e di ridurre pesantemente diritti e gli interessi delle donne e la libertà di espressione”. Oltre che “pasticciata” e “incerta sul tema della libertà d’espressione” la proposta sarebbe anche “offensiva perché introduce l’identità di genere”, un termine definito nell’appello stesso “il programma politico di chi intende cancellare la differenza sessuale per accreditare una indistinzione dei generi”.
Il Ddl Zan (già approvato dalla Camera dei deputati nell’ottobre scorso), se fosse approvato anche dal Senato (come auspicato dal segretario del Partito Democratico, Enrico Letta) “introdurrebbe – è scritto nell’appello – se non emendato una pericolosa sovrapposizione della parola “sesso” con quella di “genere” con conseguenze contrarie all’articolo 3 della Costituzione per cui i diritti vengono riconosciuti in base al sesso e non al genere”.
Secondo lo stesso appello la stessa “definizione di genere contenuta nel Ddl Zan, crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto”. L’appello ammette poi che “fra le “conseguenze” di una eventuale approvazione anche in Senato del Ddl Zan vi sarebbero la propaganda di parte, nelle scuole, a favore della maternità surrogata e l’esclusione di ogni visione plurale nei modelli educativi”. Inoltre, afferma che “c’è il concreto rischio che prevalgano visioni che, anche in altre parti del mondo, hanno aperto un conflitto rispetto all’autonomia delle donne”.
In sintesi, del Ddl Zan viene detto nell’appello che “introduce una confusione antropologica che preoccupa”. Si tratta a nostro avviso di un appello che manifesta, soprattutto, una preoccupazione di carattere ideologico, in tema di antropologia culturale, e cioè che l’accentuazione dei concetti di “genere” e di “identità di genere” su cui il Ddl si basa, e la loro radicale distinzione da quella di sesso biologico, sfoci in una diminuita difesa dell’autonomia delle donne in quanto tali (cioè né “omo” né “trans”), che sarebbero ridotte ad una minoranza marginale. Quel Ddl viene visto dagli estensori dell’appello (tra cui due filosofi come Vacca e Izzo) in contraddizione con il nuovo “femminismo della differenza”, che sottolinea appunto la differenza biologica e culturale femminile. E radicalizza – e in parte contraddice – sia il femminismo liberale della parità, sia la tradizione della “questione femminile” come parte della lotta di classe. Questa interpretazione trova conforto nella prima parte dell’appello, in cui si afferma che si è diffusa anche a sinistra “una cultura che mette in discussione la differenza sessuale colpendo la libertà delle donne… una visione discriminatoria e di restaurazione che relega le donne a minoranza”, che “accredita il commercio dei corpi” e “introduce la pratica della maternità surrogata e la compravendita dei bambini”. Osservazioni, queste ultime, che molti liberal-conservatori condividerebbero.
Da non sottovalutare, poi, gli accenni dedicati nell’appello alla “libertà di espressione”, anche se la questione avrebbe meritato un’attenzione più marcata, dato che una eventuale legge Zan renderebbe un reato, in quanto “incitamento alla discriminazione”, persino opinioni contrarie all’adozione di bambini da parte di coppie gay o di chi dice che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre; sarebbe un reato persino dirsi contrari alla “gestazione per altri”, che lo stesso appello considera insostenibile. Così pure notevole è il riconoscimento che una eventuale approvazione definitiva del Ddl aprirebbe la strada ad una “propaganda di parte, nelle scuole” ed escluderebbe ogni pluralismo educativo: non certo aspetti secondari, dato che quella propaganda disorienterebbe persino bambini delle elementari e ragazzini minori di 14 anni (età che la legge italiana considera minima per ogni rapporto sessuale).
La contraddizione principale insita nell’appello è che, nonostante questi gravi e fondamentali difetti nella filosofia e nelle norme del Ddl, l’appello stesso ne riaffermi la necessità (quando esistono già norme costituzionali e leggi ordinarie che proteggono omosessuali e transessuali, come chiunque, dalle violenze e dall’istigazione alla violenza ed all’odio), ne condivida l’impianto illiberale (l’estensione della legge Mancino e l’istituzione di un nuovo reato specifico); e che chieda dei semplici emendamenti quando, per coerenza (anche filosofica), ne dovrebbe chiedere il puro e semplice cestinamento.
di Lucio Leante