Grillo: nel nome del figlio

martedì 20 aprile 2021


Ogni presunto stupratore è bello a papà suo? E al partito di cui papà è leader? Certo lo sfogo su Facebook di Beppe Grillo, suscitato dal fatto che finalmente qualche giornale si è occupato – dopo quasi due anni – della controversa vicenda che riguarda il figlio e tre suoi amici – è di quelli che richiederebbero un appassionato intervento di una delle tante femministe moleste e aggressive del Me too mondiale. Una tipo Asia Argento ad esempio.

Il padre che minimizza un video che invece l’accusa ritiene la prova regina per un eventuale rinvio a giudizio – “c’è un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pis...o, così... perché sono quattro cog…ni” – è quasi un classico della tanto deprecata mentalità maschilista che non si perde occasione di deprecare. Ma tant’è: se a farla grossa e forse a macchiarsi di un orrendo reato è il figlio di chi aizza le folle augurando la galera a tutti i politici che non siano gli ipocritelli a Cinque Stelle che urlano “onestà”, allora vanno bene anche i cliché da “processo per stupro”. Lo ricordate? Un classico degli anni Settanta, un documentario dell’epoca che ripercorreva il calvario di una ragazza che doveva sottoporsi alle domande più intime e pruriginose dei giudici in aula.

E il ribaltamento della frittata si completa chiedendosi Grillo – e non chi legge i giornali – “come mai non li hanno messi in galera?”. Già, se lo chiede pure il ricco ex padrone di Facile.it che, invece, in carcere ci è finito e ancora ci soggiorna per avere fatto sesso troppo violento con una escort pagata 3500 euro a rapporto e convinta dagli inquirenti a denunciarlo, dopo essere stata beccata fuori dal suo attico in condizioni più che alterate da un mix di droghe.

Non osiamo immaginare cosa avrebbe allora detto Grillo delle vittime di Harvey Weinstein, tra cui la su citata Asia Argento, che le denunzie per stupro le hanno esternate urbi et orbi appena una ventina di anni dopo l’eventuale commissione del reato. È la morale a doppio standard che caratterizza non solo i Cinque stelle e Beppe Grillo ma quasi tutti i partiti dell’attuale arco costituzionale. E che contribuisce – insieme al doppio standard che usa anche buona parte della magistratura – a rendere l’Italia un Paese più simile alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan che a una democrazia occidentale.


di Dimitri Buffa