lunedì 19 aprile 2021
L’avventura di Giuseppe Conte ha cominciato a suscitarmi tenerezza. I grillini lo strapparono all’accademia e ne fecero il presidente del Consiglio, senz’alcuna esperienza politico-amministrativa. Vabbè, è professore di Diritto civile. Ma non basta per saltare da via Laura di Firenze a Palazzo Chigi di Roma. Preciso: non dovrebbe bastare. Tant’è vero che egli ha interpretato la funzione ministeriale a prescindere, confortato tuttavia dall’interpretazione all’italiana del governo parlamentare, secondo cui, purché esista una maggioranza, la condizione costituzionale della fiducia risulta soddisfatta.
Per il tenero Conte, i vari Salvini, Di Maio, Renzi, Zingaretti non solo pari sono ma pure intercambiabili. Il farfallone amoroso va turbando adesso il sonno ai pentastellati, anziché rassicurarli. Il suo discorso d’investitura, o che tale è sembrato, aveva più evanescenza che concretezza, sicché per definirlo come merita non mi viene in mente niente di meglio che glossolalia. Gli hanno offerto un partito sul piatto d’argento. Eppure, l’avvocato del popolo, con la prudenza dell’azzeccagarbugli, non ci vede chiaro. E diffida. Non vuole entrare nelle beghe tra Movimento e piattaforma, nel dare e nell’avere, nelle regole e nelle eccezioni. Pretende di rifondare tutto e di garantirsi contro tutto. Si aspettava l’arco di trionfo. Non ha avuto né l’uno né l’altro, sebbene glieli avesse decretati l’imperatore Elevato in persona.
L’ambizione di Conte non consisteva nel capeggiare i grillini, una primazia scontata visto che l’avevano chiamato e innalzato loro, ma nel porsi a guida delle forze progressiste e riformiste, cosiddette o sedicenti. Egli è all’evidenza un democristiano di sinistra, un cattolico democratico, però senza averne lo spessore politico, la cultura specifica, la navigata esperienza. Insomma, non è Romano Prodi, ma vuole fare il Prodi. Inoltre, gli eredi del professore bolognese stanno tutti nella pignatta democratica, come fagioli saltellanti al fuoco, mentre i compagni del professore appulo-fiorentino vanno a condensarsi sul fondo del calderone grillino. La tenerezza che provo, adesso e solo adesso, per Conte mi viene dal fatto che si atteggi a statista senz’esserlo diventato quando poteva e doveva, mentre vorrebbe sembrarlo adesso, che non è neppure il capo riconosciuto effettivamente in comando del partito, al quale non parrebbe ancora iscritto. O forse sì, ma in sonno.
di Pietro Di Muccio de Quattro