lunedì 19 aprile 2021
Ora che pian-pianino ce ne stiamo – forse – tirando fuori, si possono iniziare a fare paragoni e analogie della vita in un anno di pandemia da Covid-19 con altre categorie dello spirito. Politico e non. Ad esempio lo stramaledetto comunismo e l’autoritarismo in genere. Retorica a reti unificate, economia depressa, negozi vuoti, coprifuoco notturno e controlli vessatori dell’autorità politica, burocratica, amministrativa, di polizia e infine giudiziaria. Un Paese come l’Italia – ma non solo – trasformato in un inferno dove la delazione del vicino, il rimbrotto del passante e la costante predica televisiva diventano una costante del vivere comune. E addirittura un valore condiviso.
La vita nostra che diventa “degli altri”. Come nel notissimo e bellissimo film sulla Germania Est. E, se ci si pensa, il nostro immaginario in questo anno e rotti di terrore pandemico – in parte abbondantemente indotto ed alimentato ad hoc – è stato proprio tale. Da ultimo ha destato una certa impressione l’esternazione via Twitter di un noto attore figlio d’arte di uno ancora più noto, che in pratica si è vantato di avere mandato la polizia a interrompere una festa troppo assembrata dei suoi vicini di casa. Un boomerang di immagine e comunicativo che, oltre a denotare una certa zelante solerzia da primi della classe in un mondo di ultimi, ha mosso nei commenti sui social questa ulteriore obiezione: ma che bisogno c’era, dopo avere compiuto la spiata, di rivendicarla?
Eppure il mondo livellato dove “nessuno deve restare indietro” – purché stiano tutti fermi nel posto dove lo Stato li ha immobilizzati – è esattamente questo. Se uno è uguale uno, il tutto è uguale a zero. Il sogno del comunismo, un mondo di miserabili pezzenti che mendica un sussidio o un reddito di cittadinanza a uno Stato che concede come i sovrani assoluti ai loro sudditi, è stato reso per un attimo possibile in tutto il mondo grazie a quello che Donald Trump chiamava “il fottuto virus cinese”. Un comunismo indotto per via emergenziale e pandemica. Mentre la Cina – dei giorni scorsi i dati di un Pil di nuovo in crescita a due cifre – vinceva almeno il primo tempo di questa guerra asimmetrica e batteriologica.
Ora che – forse – se ne uscirà, speriamo che almeno una lezione i governanti italiani, europei e americani la abbiano imparata: il mondo è bello proprio perché vario, con le sue disuguaglianze e le sue differenze. L’unica cosa che dovrebbe essere comune, per tutti, è rappresentata dai doveri e dallo Stato di diritto. Due “cosette” che, almeno alle nostre latitudini, si sono disperse nel nulla ormai da tempo.
di Dimitri Buffa