Il centrodestra tra partiti ed elettori

venerdì 2 aprile 2021


Oltre a ringraziare Alessandro Giovannini, Cristofaro Sola e Claudio Romiti per il loro prezioso contributo al dibattito sul futuro del centrodestra che si sta sviluppando sulle colonne de L’Opinione, vorrei sottolineare un punto del mio ragionamento che viene spesso sottovalutato, quando non ignorato, nelle discussioni di questo tipo.

Quando scrivo di centrodestra (o, come lo definisce Sola, “destra plurale”), non penso solo all’insieme di partiti ed associazioni politiche che a quell’area politica fanno riferimento. Questo è un errore di prospettiva comune a molti intellettuali e commentatori. Per me, infatti, il “centrodestra” è soprattutto il suo elettorato. Quei cittadini – maggioranza strutturale nel nostro Paese – che si oppongono (spesso in modo istintivo e quasi pre-politico) alle follie multikulti e politicamente corrette di una sinistra mondiale orfana, ormai da decenni, di pensiero e reale capacità di rappresentanza.

Ha perfettamente ragione Giovannini quando scrive dell’esaurirsi di quella spinta propulsiva che ha caratterizzato il centrodestra delle origini, quello “inventato” da Silvio Berlusconi per intenderci. Dal 1993 ad oggi il mondo è cambiato radicalmente e la storia ha subito accelerazioni (e frenate) importanti. Ma non sono affatto certo che questa assenza di spinta propulsiva, di cui partiti e classi dirigenti sono i primi responsabili, debba necessariamente portare ad una frantumazione del suo elettorato. La crescita esponenziale (e poi il ridimensionamento) della Lega, l’espansione elettorale (almeno nei sondaggi) di Fratelli d’Italia e il crollo verticale (che però sembra essersi arrestato) di Forza Italia ha portato a dinamiche molto diverse nei rapporti tra i partiti. Ma i numeri complessivi della coalizione, a guardare bene, sono rimasti straordinariamente stabili in questi anni. E non ci sono segnali evidenti che questa tendenza sia destinata a cambiare, almeno nel prossimo futuro.

Pur cambiando partito di riferimento, insomma, l’elettore di centrodestra abbandona raramente l’alleanza nel suo complesso. Forse per quella “sintonia di fondo” di cui parla Roberto D’Alimonte, forse perché battere la sinistra resta il suo obiettivo principale, o forse perché cerca di proteggere i propri legittimi interessi. Le cause di questo comportamento elettorale possono essere molteplici, ma resta il fatto che, quando liberali e conservatori decisono di colpire insieme, la sinistra ha poche possibilità di vincere le elezioni. Al contrario, quando si separano la sinistra prevale senza troppe difficoltà.

È un punto su cui vale la pena insistere. Liberali e conservatori, da soli, sono destinati a giocarsi la partita con un handicap di partenza. L’occupazione gramsciana da parte della sinistra dei centri di potere (scuola, cultura, comunicazione, magistratura), non solo nel nostro Paese, rende impari le condizioni di partenza della sfida. Questa ovvietà deve essere compresa fino in fondo dai liberali, che non possono rimanere inerti di fronte ad alcune istanze portate avanti dal mondo che oggi viene definito “sovranista”, ma anche dai conservatori, che devono scegliere una volta per tutte se affidarsi al mantra della pianificazione o alla forza creatrice del libero mercato, come viene giustamente sottolineato da Romiti. È solo attraverso questa reciproca presa di coscienza che chi insegue da anni una prospettiva “fusionista” sul modello del Partito repubblicano statunitense, come chi scrive, vedrà realizzarsi compiutamente un’alleanza stabile e con qualche speranza di poter governare con successo per migliorare il Paese.

Vincere le elezioni, naturalmente, non è il solo motivo per cui liberali e conservatori dovrebbero stare insieme. Ma questo è argomento per un altro dibattito. Intanto, bisogna salire sul primo gradino di questa scala traballante: battere la sinistra. E per farlo bisogna presentarsi alle elezioni con un fronte compatto e con una classe dirigente all’altezza (finalmente) della situazione, senza proporre le stesse oscenità viste nel passato con candidature improponibili. Gli elettori di centrodestra sono pronti. E i partiti?


di Andrea Mancia