Pasqua rossa e impegno per le libertà

venerdì 2 aprile 2021


Pasqua rossa anche quest’anno. Libertà di movimento limitate, libertà economiche sospese, libertà di educazione e apprendimento confinate dietro lo schermo di un pc, libertà d’organizzazione, di espressione del pensiero, di manifestazione rimesse ad internet, libertà di abbracciare e baciare impedite da mascherine e disinfettanti. Tutto in nome della protezione della salute collettiva.

Per la prima volta nell’età moderna le espansioni delle libertà individuali si devono confrontare con le limitazioni ad esse imposte dalla protezione di un bene anch’esso individuale, ma al tempo stesso elevato dal diritto e dalla cultura dominante a bene collettivo: la vita. A petto delle libertà del singolo, si dice, sta il diritto della collettività ad essere protetta, tutelata, poiché portatrice di una sorta di diritto sociale suo proprio.

Dal punto di vista schiettamente formale è difficile smontare questa costruzione. D’altra parte, adesso che il nuovo governo utilizza correttamente lo strumento del decreto-legge, piuttosto che quello dei Dpcm, non si pone più neppure il problema di legittimità.

Formalmente, insomma, non è più proponibile neanche una questione di costituzionalità dei divieti in relazione allo strumento usato per imporli.

C’è un profilo ulteriore, però, che deve essere preso in considerazione per verificare la fondatezza della concezione dominante, fatta propria dal mainstream informativo e, casomai, per contrastarla sul piano sostanziale. È un profilo culturale, politico, che si deve rivitalizzare con forza, perché può portare al giusto equilibrio tra ciò che si può e ciò che non si può fare. Da parte di tutti gli attori, ad iniziare dallo Stato.

Alla base della concezione corrente vi sta una visione schiettamente statalista del vivere, che vede la collettività come entità rilevante autonomamente, portatrice di diritti propri, quasi fosse essa stessa una persona.

Se si gratta la crosta del discorso, si vede tuttavia come le cose non stiano così. Alla radice del conflitto tra libertà individuali e diritti della collettività ve ne sta un altro, che si gioca tutto a livello individuale, del singolo. Non soltanto perché la collettività è una superfetazione costruita in funzione dell’organizzazione sociale, ma perché la vera contrapposizione corre non tra libertà individuale e divieti a protezione della società, ma tra libertà individuale e sicurezza, anch’essa individuale.

Questo è il cuore del discorso: è per la sicurezza individuale che si è disposti a barattare le libertà ed è in questo baratto che sta la radice dei divieti e della loro accettazione da parte di un numero consistente di individui.

Il binomio libertà-sicurezza lo troviamo in tantissimi eventi anche tragici della storia, forse si colloca perfino alla base della nascita degli Stati. Dove sta, però, il punto dolente di questo rapporto? Qui: se il baratto è conseguenza dell’autodeterminazione della persona, è esso stesso, baratto, espressione delle libertà; invece, se l’autorità deputata a regolarlo lo incentiva spargendo paura o perseguendo “interessi altri” in nome della “collettività”, lo scambio della libertà con la sicurezza si trasforma in inganno.

Con questo non si dice, sia chiaro, di passare armi e bagagli sotto la bandiera degli egoisti o degli egoismi, e men che meno dei negazionisti. Si dice un’altra cosa: siccome alla base di ogni limitazione delle libertà c’è un baratto, sta pure bene vivere la Pasqua colorata di rosso, ma non sta bene che il baratto sia frutto di irragionevole instillazione di paura e finisca in misure altrettanto irragionevoli. La libertà si può barattare e lo si può fare anche per la sicurezza individuale, ma lo Stato non la può togliere con la forza della paura.

Per chi crede nelle libertà, questo è il terreno o almeno uno dei terreni d’impegno culturale e politico. Che sia per tutti una buona Pasqua d’impegno per la libertà, allora.

(*) agiovannini.it


di Alessandro Giovannini