mercoledì 17 marzo 2021
Quando un leader del Partito Democratico vuole scaldare i cuori e strappare un applauso unanime alle diverse e litigiose anime che compongono il suo partito, tira fuori la questione dell’immigrazione. Negli ultimi tempi soprattutto quella, ad essa collegata, dello ius soli. Lo fece Nicola Zingaretti qualche mese fa e lo ha fatto pochi giorni fa Enrico Letta nel suo discorso di insediamento alla testa del Pd.
Il cuore del Pd, partito ormai della media e alta borghesia di Stato, non batte più per il proletariato interno delle fabbriche, né per quello delle campagne, né per il popolo delle periferie urbane, che ormai “sono imborghesiti” e “votano a destra”. Il suo cuore batte solo per quel lumpen-proletariato esterno che sono i migranti, anche se con essi il vecchio popolo della sinistra entra spesso in conflitto per ragioni materiali e culturali. L’immigrato, che Papa Francesco, vero leader morale della sinistra, chiama l’ultimo della terra, è diventato il nuovo idolo da accogliere illimitatamente e il vero stendardo identitario, che riscalda i cuori di cattolici e post-comunisti.
Anche in politica il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce, specie quando consente di elargire a piene mani quella che il filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel chiamava la pappa del cuore delle anime belle e buoniste tanto generose a spese altrui. Nel caso dell’accoglienza illimitata a spese degli italiani, l’idolatria dell’immigrato, che ha sostituito quella del proletario (o meglio quella del Partito e della rivoluzione comunista), crea da tempo perdite di consensi e sconfitte del Pd. Ma quella idolatria è diventata la sua carta di identità, la sua religione. Per questo i suoi dirigenti sono costretti ad insistervi, nonostante le perdite di consensi.
Essere “di sinistra” oggi significa quasi niente altro che essere favorevoli alla continuazione ed all’intensificazione dei flussi migratori, anche irregolari e illegali. È questa una parte della trasformazione del Pd in un “partito radicale di massa” che sponsorizza le cause delle minoranze presunte “svantaggiate e discriminate”. Oltre agli immigrati, specie se africani e musulmani, le lobby Lgbt, i palestinesi, i siriani, i libici, gli uiguri cinesi, i rohingya birmani. Tutto il resto – la lotta di classe, la questione meridionale e quella femminile, gli operai, i contadini, i meridionali e persino le donne – passano tutti in secondo piano. Su tutti prevale l’immigrato, e non come persona reale, della quale ci si disinteressa allegramente, ma come simbolo dell’ultimo della terra da agitare sulle bandiere e nella propaganda. È la difesa dell’immigrato che certifica la persistenza, nonostante tutte le compromissioni e le deviazioni, del Pd e dei suoi aderenti nell’alveo della sinistra storica e di quella sinistra eterna, presunta ancora detentrice del monopolio dell’ideale della giustizia sociale.
Esemplare è proprio la questione dello ius soli. La legislazione italiana attuale si basa soprattutto sul principio dello ius sanguinis: è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini italiani. Ma già c’è anche nelle leggi attuali un riconoscimento dello ius soli: a chi nasce in Italia da genitori stranieri, la cittadinanza può essere riconosciuta dopo aver compiuto 18 anni, su sua richiesta se ha risieduto fino a quel momento in Italia “legalmente e ininterrottamente”.
Già in base alle attuali leggi l’Italia è il secondo Paese in Europa per concessioni della cittadinanza. Secondo dati Eurostat, del 2019 prima è la Germania con il 19 per cento del totale dell’Unione, seguita dall’Italia con il 18 per cento. Sono stati ben 127mila gli stranieri diventati cittadini italiani nel corso di quell’anno. Non si vede dunque alcuna necessità né urgenza per innovare le leggi e per fare salire le concessioni di nuove cittadinanze.
Cosa vuole innovare il Pd? In sostanza vuole abolire la domanda dell’interessato e introdurre degli automatismi basati sia sullo ius soli, e alcuni basati anche su adempimenti scolastici (il cosiddetto ius culturae). Secondo la proposta ufficiale del Pd, presentata da Matteo Orfini, infatti acquisirebbe il diritto di cittadinanza:
1) sin dalla nascita chi nasca in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno vi risieda legalmente senza interruzioni da non meno di cinque anni o sia in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo;
2) il minore straniero che sia nato in Italia o vi sia arrivato prima del compimento del dodicesimo anno di età e abbia seguito un regolare percorso formativo di almeno cinque anni di livello elementare (con esito positivo) o tecnico-professionale (indipendentemente dall’esito);
3) lo straniero che abbia fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, vi risieda legalmente da almeno sei anni e abbia frequentato nel medesimo territorio regolarmente un ciclo scolastico tecnico-professionale di cinque anni.
La prima obiezione è che sganciare la cittadinanza dalla maggiore età può produrre un danno allo stesso neo-cittadino italiano, nel caso che i genitori decidano di tornare anzitempo con lui figlio minorenne – e cittadino italiano ope legis – nel Paese d’origine, dove non sia riconosciuta la doppia cittadinanza e dove sarebbe uno straniero. La seconda obiezione è che se fosse approvata la proposta di legge Orfini, sarebbe garantita di fatto una sanatoria (prima solo di fatto, poi anche di diritto) per tutti gli stranieri immigrati illegalmente che facessero un figlio in Italia, in quanto genitori di un cittadino italiano. Ciò incentiverebbe notevolmente gli arrivi, perché darebbe a molti migranti una ulteriore prospettiva di inserimento attraverso l’immigrazione illegale tramite la successiva sanatoria ottenuta grazie alla cittadinanza del loro figlio nato in Italia.
È probabilmente quest’ultima la ragione politica principale perché il Pd vuole il rafforzamento degli automatismi dello ius soli. Nel breve periodo conta di attirare il voto del popolo disperso dei cattolici (specie quelli bergogliani, quelli dell’accoglienza illimitata e indiscriminata); nel medio periodo spera di attirare il voto degli ex immigrati illegali a cui, prima o poi, si concederà non solo una sanatoria, ma anche la cittadinanza e il diritto di voto in quanto genitori di ragazzini cittadini italiani; e infine per il lungo periodo il Pd potrebbe sperare di attirare il voto di questi ultimi quando diventeranno maggiorenni (a 16 anni secondo lo stesso Letta!).
Se questi – come è evidente – sono i calcoli politici del Pd, risulta molto irritante la retorica, anzi la vera pappa del cuore, che i dirigenti del Pd ostentano e profondono a piene mani: si mostrano accorati e commossi per il ragazzino venuto da lontano che, nato in Italia, studia e gioca al calcio con i coetanei italiani e che si sentirebbe menomato e discriminato, perché non ancora cittadino italiano. Quel ragazzino fino a 18 anni della cittadinanza italiana, probabilmente, se ne frega beatamente. A 18 anni se vuole la acquisirà. E voterà per chi vuole, con buona pace dei calcoli e delle ipocrisie del Pd e del suo neo-leader, Enrico Letta.
di Lucio Leante