Qualcosa sul discorso di Draghi

venerdì 19 febbraio 2021


La pubblicità di una marca di tonno in scatola, in voga negli anni Settanta, recitava: “A scatola chiusa compro solo Arrigoni”. Quelli bravi, alla Antonella Rampino su Huffington Post, direbbero di Draghi che “l’uomo è il messaggio”. Resta il fatto che nella due-giorni parlamentare il presidente del Consiglio se la sia cavata alla grande. Il discorso di illustrazione del programma del suo Governo è piaciuto perché è stato una combinazione quasi perfetta di lucido realismo nell’analisi della crisi e di capacità di visione del futuro, con qualche rimarchevole spunto. Come l’idea di valorizzare, nell’ambito del sistema educativo, gli Istituti tecnici. Sembrerà banale ma è un bene che vi sia qualcuno in grado di comprendere l’importanza di ricostituire il sostrato di quadri tecnici intermedi, indispensabili per il funzionamento dell’apparato produttivo.

Anche sulla questione ambientale l’approccio del premier si mostra equilibrato. Nessun cedimento all’isterismo ideologico del radicalismo ambientalista, ma una seria presa di coscienza della necessità di coniugare la salvaguardia di un habitat naturale in un contesto fortemente antropizzato con le esigenze ineludibili dello sviluppo economico. Sul punto, Draghi ha detto: “La risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche finanziarie che facilitino l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create”. Anche se non si è speso in dettagli, in linea di massima così posta la politica ambientale può funzionare.

Sulla parità di genere il premier avrebbe meritato una ola. Il divario di genere nei tassi di occupazione e i gap salariali tra lavoratori e lavoratrici, sono poco edificanti realtà nel nostro Paese. Chi potrebbe asserire il contrario? Ma Draghi si è spinto oltre: ha mollato una pedata (simbolica) al femminismo peloso proliferato nella cultura sessantottina della sinistra e costruito sul mito delle “quote rosa”. Le parole del premier: “Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi”. L’ha definito esattamente così: farisaico rispetto di quote rosa. La destra ha dovuto sopportare mezzo secolo d’insulti e di accuse di sessismo misogino e paternalista per aver espresso concetti simili. Un solo rimpianto: non aver potuto vedere il volto paonazzo della senatrice “dem” Monica Cirinnà ascoltare questo Draghi (per inquadrare il personaggio Cirinnà, è colei che alla Festa della Donna dell’8 marzo 2019 girava con un cartello su cui era scritto: “Dio, Patria e Famiglia, che vita de m…a”).

Ugualmente sul Mezzogiorno, il premier ha squadernato verità che i politici navigati non gradiscono ammettere, preferendo il frusto eloquio sul Sud dalle grandi potenzialità sulle quali investire risorseda domani, no! meglio dopodomani, comunque vi faremo sapere”. L’ha detto chiaro: “Sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati nazionali e internazionali (nel Mezzogiorno, ndr) è essenziale per generare reddito, creare lavoro, investire il declino demografico e lo spopolamento delle aree interne. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre creare un ambiente dove legalità e sicurezza siano sempre garantite”. Mario Draghi parla con cognizione di causa perché conosce la materia avendola approfondita da Governatore della Banca d’Italia. In un volume che raccoglie gli atti del Convegno promosso dalla Banca d’Italia su “Mezzogiorno e politiche regionali”, tenutosi a Perugia il 26-27 febbraio del 2009 e curato da Daniele Franco, all’epoca direttore centrale dell’Area Ricerca economica e relazioni internazionali dell’Istituto e oggi ministro dell’Economia e delle Finanze del Governo Draghi, si parla di diseconomie ambientali con un capitolo dedicato all’impatto della criminalità sui prestiti alle imprese. L’autrice del “paper”, Emilia Bonaccorsi di Patti, scrive: “Vi è scarsissima evidenza sull’effetto del crimine in termine di minori investimenti e sull’attività delle imprese, sebbene informazioni qualitative indichino nella criminalità uno dei fattori considerati dagli imprenditori nella scelta di dove localizzare le loro attività”. I politici dei territori del Sud dovranno attendere prima di festeggiare la pioggia di miliardi in arrivo dall’Europa per il Mezzogiorno. Se quelle di Draghi non sono chiacchiere, riguardo agli interventi pubblici al Sud si cambia registro.

Vi sono, tuttavia, almeno due passaggi nella relazione del premier che non ci hanno convinto. Il primo riguarda una battuta sulla sovranità. Sostiene Draghi: “Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa”. Cosa ha voluto dire con quel “aree definite dalla loro debolezza”? Sia più chiaro, presidente. Dobbiamo temere che vi sono all’orizzonte Troike, commissariamenti e altre forme di compressione della sovranità nazionale qualora il Paese non dovesse eseguire perfettamente i compiti dettati da Bruxelles? Caro Draghi, facciamo a capirci. Se la frase sibillina voleva essere uno scherzo da prete all’ingombrante sponsor leghista, Matteo Salvini, passi. Siamo pur sempre nella settimana del Carnevale. Se invece nasconde un retro-pensiero sul destino di subalternità dell’Italia ai poteri egemoni nell’ambito dell’Ue, allora non ci siamo. E questo è un cartoncino giallo. Seconda questione: il modello produttivo del dopo-pandemia. Su di una cosa il premier ha ragione: uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce. Non basterà premere un interruttore perché tutto riappaia come era prima. Ci attende un paradigma socio-economico totalmente stravolto. Ma Draghi aggiunge: “Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi. Anche qui bisogna intendersi. L’idea che ci si debba preparare ad affrontare il nuovo mondo del post-pandemia il premier l’ha già manifestata in altre sedi. Nella presentazione del Report al “Gruppo dei trenta”, un think tank fondato su iniziativa della Rockefeller Foundation nel 1978, Draghi afferma: “Stiamo entrando in una nuova era nella quale saranno necessarie scelte che potrebbero cambiare profondamente le economie”. Occorreranno politiche selettive per evitare il dilagare di masse di “imprese zombie”, destinate a sopravvivere con stentate risorse finanziarie. Per Draghi tali imprese non vanno sostenute. Più opportunamente, gli interventi pubblici devono essere rivolti esclusivamente alle imprese che possono essere redditizie negli scenari del post-pandemia. A lume di naso sembrerebbe la riproposizione della teoria sulla distruzione creativa di Joseph Schumpeter. Che tuttavia aveva il pregio e insieme il difetto di essere una teoria.

La prassi è un’altra cosa. Draghi ha il dovere di essere chiaro perché, nel caso paventato nella sua relazione, non apparterebbe al libero mercato la forza distruttrice del vecchio e creatrice continua di nuova ricchezza, ma all’intervento autoritario della mano pubblica che indirizzerebbe gli aiuti alle imprese integrate nelle filiere produttive di altri Paesi comunitari, lasciando a secco tutte quelle che non hanno accettato di aggregarsi in sistemi di rete di grandi dimensioni e con maggiori possibilità di espansione sul mercato globale. Il problema è serio perché l’economia che ha tenuto in piedi il Paese ha fatto leva sui ceti produttivi tradizionali, solitamente inseriti nelle categorie delle micro e piccole imprese artigiane e del commercio, che non sono interessate alla digitalizzazione e dalla transizione ambientale temono di ricevere soltanto concreti danni economici. Questo mondo produttivo non può essere rottamato, per compiacere le mire dirigiste dei padroni dell’economia europea. Senza tirarla per le lunghe, ci aspettiamo che su questi temi scottanti Draghi faccia Draghi. Gli italiani ne hanno viste tante e altrettante ne hanno subite dalla politica da essere vaccinati contro le promesse mancate. Stavolta però è diverso: gli italiani credono in Draghi. Che colpo micidiale sarebbe se anche lui li deludesse.


di Cristofaro Sola