Il programma del Governo Draghi

giovedì 18 febbraio 2021


Nota a margine

È sempre stato difficile giudicare i discorsi programmatici dei presidenti del Consiglio, anche perché sono pure difficili da scrivere senza sottrarsi al rischio che un tempo veniva riassunto con l’espressione “brevi cenni sull’universo”. Mario Draghi non l’ha schivato del tutto, il rischio. C’è chi può considerare lungo un discorso di settantacinque minuti; e chi, invece, breve. Il drago ha emesso due fiammate brucianti, sentitamente patriottiche: all’inizio, citando la fede di Cavour nelle riforme che, se puntuali e coerenti, rafforzano lo Stato liberale (“le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”); alla fine, ricordando che, nelle condizioni date, l’unità della nazione e dei suoi rappresentanti non è una scelta, bensì un dovere, “ma un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia”. Quanto al resto del discorso, è parso un sommario elenco dei mali che tutti conoscono, carente però di una precisa esposizione degli specifici rimedi indispensabili ed indifferibili. Additare gli scopi dell’azione governativa non equivale a individuare dettagliatamente i mezzi per raggiungerli.

Se consideriamo il punto meglio argomentato del programma, la riforma fiscale, da Draghi esattamente definita “architrave della politica di bilancio”, dobbiamo concedergli che non è stato evasivo. Anzi, sulla scorta della riforma della Commissione Cosciani del 1972 e tenendo presente la riforma danese del 2008, Draghi è orientato ad affidare agli esperti il progetto di revisione integrale del sistema di tassazione “con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività”. Ma non possiamo dimenticare che sono obiettivi, compresa la lotta all’evasione fiscale, che agl’Italiani vengono sconsolatamente ripetuti dagli anni ’70, appunto.

Il riferimento, poi, alla “improcrastinabile” riforma della pubblica amministrazione, pur contemplando il rituale impegno per “la connettività” e la realizzazione di “piattaforme efficienti e di facile utilizzo”, non pare esaustivo né prende di petto il problema filosofico sottostante, cioè che la burocrazia e la riforma burocratica sono largamente l’alibi dell’impotenza della politica intesa come potere legislativo ed esecutivo. Draghi è a perfetta conoscenza che lo Stato moderno e contemporaneo è in sostanza uno “Stato amministrativo” basato su impiegati professionali specializzati ed inamovibili. Se la burocrazia non funziona dipende essenzialmente dal controllore incapace, almeno quando essa è istituita al meglio per funzionare davvero.

“Nel campo della giustizia – ha detto Draghi – le azioni da svolgere sono principalmente quelle che si collocano all’interno del contesto e delle aspettative dell’Unione europea”. Anche all’interno del contesto e delle aspettative di noi poveri cittadini soltanto italiani, come sappiamo da decenni! “Efficienza dei tribunali”, “smaltimento degli arretrati”, “procedure semplici”, eccetera, sono la litania delle inaugurazioni di ogni anno giudiziario. Qualche puntualizzazione in materia di giustizia penale, a parte “la repressione della corruzione”, sarebbe stata indispensabile perché la reticenza può apparire ai maligni l’espediente per imbonire una qual certa parte politica.

La dichiarazione sulla politica estera è stata impeccabile, da applaudire per contenuto e nettezza. Non sentivamo da un pezzo un presidente del Consiglio così convintamente, a viso aperto, atlantista ed europeista, con tutto ciò che significa in termini di civiltà occidentale, democrazia liberale, economia di concorrenza, diritti umani.

La nostra considerazione finale riguarda l’essenziale che Draghi non poteva dire, perché non è il tipo di vantone da gloriarsene e perché non doveva. In base a tale considerazione, diventa perdonabile l’aver sfumato i contorni operativi delle dichiarazioni programmatiche. E la considerazione è questa: neppure Mario Draghi riuscirebbe a compiere in un’intera legislatura la missione impossibile lumeggiata nel suo discorso. Egli ha davanti un anno o forse due della legislatura. Il complesso delle istituzioni politiche, dei potentati economici, delle parti sociali sa al pari di Draghi che la sua “chiamata” al governo ha una causa fondamentale, una sola. Costituisce la malleveria per garantire l’impegno della Repubblica al buon uso dei fondi europei, contro il declino, la pandemia, il debito pubblico. Il di più è un pio desiderio o, come forse si esprimerebbe meglio lui stesso, un “wishful thinking”.


di Pietro Di Muccio de Quattro