venerdì 12 febbraio 2021
I problemi che caratterizzano l’attuale situazione nella nostra nazione richiedono dal nuovo Governo di Mario Draghi – che sta per nascere – un attento esame. Sarebbe ingiusto attribuire delle responsabilità di quanto è accaduto a tutte le forze politiche, peggio ancora a chi in queste ha compiuto ogni sforzo, in condizioni obiettivamente difficili, per formulare delle proposte mai prese in seria considerazione o, perlomeno, discusse in modo appropriato.
“Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, recita quel famoso proverbio. Ora, ciò che è auspicabile, per evitare un’ulteriore figura barbina, e che le forze politiche acquisiscano la consapevolezza dei possibili sbocchi di questa pericolosa recessione, riprendendo in pugno la situazione, sapendo imprimere ad essa una svolta decisiva. In caso contrario, le ricadute della crisi, aggravate dalla pandemia, colpirebbero ancor di più il mondo del lavoro. Non solo: bisogna anche scongiurare un ulteriore pericolo. Cioè quello che alcune forze possano voler dare un contributo dichiarato di sostanza, ma solo a chiacchiere, unicamente per non perdere lo status quo che, invece, proprio in questa difficile circostanza andrebbe profondamente rinnovato, se veramente si vuole ridare all’Italia delle prospettive concrete di sicuro rilancio. Pensare che tutto questo possa accadere esclusivamente con la conferma dell’istituzione di un ministero per la Transizione ecologica, sarebbe quantomeno riduttivo.
Il quadro che il nuovo presidente del Consiglio si ritrova davanti è purtroppo sconfortante, non solo per le oggettive contraddizioni politiche, tutte interne alla maggioranza, ma anche per le conseguenze sul piano sociale che potrebbero portare, se si acutizzassero maggiormente queste incompatibilità. Il Coronavirus ha danneggiato tre stati di cose. Di fatto non ha colpito solo lo stato, inteso come condizione di salute delle persone, ha colpito l’economia di un intero Stato, inteso come popolo e ha colpito il nostro Stato sociale. Da una parte si tende a difendere i posti di lavoro esistenti, dall’altra si corre il rischio di diminuire la produttività, si procede con lo smart working, ma si rinuncia così ad una migliore utilizzazione delle forze lavoro. Si cerca di migliorare le retribuzioni, ma allo stesso tempo si sacrificano gli investimenti. Alla fine, le stesse retribuzioni sono sottoposte all’erosione del loro potere reale, attraverso l’aumento dei prezzi.
Dinnanzi ad una dura realtà come quella che sta vivendo il nostro Paese, appare abbastanza evidente che la perdita di produzione e di produttività ha portato ad un basso tasso di sviluppo e alla diminuzione costante di risorse. Tutto ciò, se non ci si dà una mossa, può farci incappare in una sorta di emarginazione dall’Europa. Se si continua di questo passo, ci instradiamo verso uno Stato sempre più assistenziale ed immobilistico, elementi che comprometterebbero la nostra stessa libertà. Ed è difficile che la rinuncia a un qualcosa possa essere accettata senza la contemporanea sottrazione di democrazia. All’orizzonte resta una sola alternativa ed è quella di riavviare lo sviluppo produttivistico, del lavoro serio. Questa alternativa è anche la sola che offre spazio ad una politica di riforme, da più parti sempre annunciate, ma alla fine sempre disattese. Per attuare tutto questo occorre un presupposto essenziale, la rinuncia delle posizioni di comodo e in particolar modo richiede un requisito basilare alla politica: il coraggio.
L’impatto che il Covid-19 ha avuto sulla crisi occupazionale preoccupa seriamente anche sotto l’aspetto della composizione. Per uscire dalla crisi e rimettere in moto un processo di sviluppo equilibrato, Mario Draghi ha una sola strada, rimettere in moto il mondo dell’imprenditoria. Da anni manca una vera programmazione di ciò che si vuole attuare e come eseguirlo, manca una Commissione nazionale per la Programmazione, un organo nel quale le forze politiche e sociali del Paese abbiano modo di dare il loro contributo al processo stesso di formazione del programma. Non esistono formule miracolistiche o uomini della Provvidenza per superare le crisi: queste si superano e i problemi che ne scaturiscono si risolvono solo adottando e mantenendo “comportamenti” coerenti attorno alle scelte da compiere, applicando rigorosi criteri nella gestione economica.
Giuseppe Conte chiedeva la scesa in campo di “responsabili”, questo nuovo Governo invece ha l’onere della “responsabilità”, di dare l’esempio intervenendo adeguatamente e dare un’azione di spinta. Ma tutte le forze devono offrire il loro contributo, anche dall’opposizione. A tale riguardo le parole di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) sono state chiare: ha assicurato una partecipazione attiva a tutto ciò che va in direzione del bene dell’Italia. Ieri, con il sì pronunciato sulla piattaforma Rousseau dal 59,3 per cento dei votanti, si è dato il via libera a Draghi. Adesso la parola passa inevitabilmente ai fatti, tenendo conto di un piccolo particolare. Infatti, Jean-Jacques Rousseau sosteneva: “Non abbiamo bisogno di buoni politici, ma di buoni cittadini”. Strano, la ragione mi ha fatto sempre pensare che ci volessero entrambi.
di Alessandro Cicero