martedì 9 febbraio 2021
La pandemia ha portato tali e tante tragedie che, oltre ai mali specifici, hanno messo in luce viepiù quel fallimento istituzionale delle Regioni, che negli anni hanno cercato di camuffare con spese inutili e clientelari intrise di megalomania. Poiché è noto che le Regioni impiegano nella sanità il 70-80 per cento dell’ammontare dei loro bilanci, l’inadeguatezza emersa di fronte al Covid-19 non è giustificabile con l’inusitato evento, ma ha invece la causa diretta nell’inefficienza dovuta all’aver affidato la salute pubblica alla politica, anziché ai medici e ai tecnici della salute. Abbiamo dovuto assistere ad una deprecabile e pericolosa confusione di competenze e provvedimenti tra Stato e Regioni, la quale non solo contraddice e viola l’attribuzione esclusiva dello Stato in materia di pandemie che, per definizione, interessando l’intera nazione, esigono d’esser fronteggiate a livello nazionale con un’azione omogenea e coordinata nelle linee portanti generali, ma ha introdotto vergognose discriminazioni legali e materiali tra cittadini colpevoli d’esser nati o residenti o semplicemente iscritti in differenti registri regionali. Discriminazioni tanto più moralmente esecrabili e giuridicamente inammissibili, in quanto attinenti al diritto alla salute, che “la Repubblica tutela come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (articolo 32 della Costituzione), quindi non esercitabile in modo frammentato secondo le Regioni.
Un governo incapace e cinico ha consentito per mesi, senza equipararne risolutivamente le condizioni, che due malati con la stessa prognosi da Covid-19 andassero incontro a esiti diversi a seconda che fossero ricoverati in una regione anziché in un’altra. Questa smaccata distruzione del cardine della Costituzione, l’articolo 3 che sancisce l’uguaglianza dei cittadini, con conseguenze mortali per centinai di malati al giorno, non è stata sanata neppure nel momento cruciale dell’attesa vaccinazione di massa. I vaccini: dove arrivati, dove no; dove somministrati, dove no; dove prenotabili, dove no; dove effettuati con la dovuta velocità, dove con lentezze incomprensibili; dove con disfunzioni, dove con efficienza. Questo marasma burocratico ha due caratteristiche: non se ne conosce il responsabile; non se ne conosce il controllore. Quindi il cittadino pretermesso, non convocato, spostato, all’oscuro, non sa con chi prendersela. I telefoni indicati restano muti in generale. Le categorie degli anziani, primi da vaccinare, faticano a iscriversi nelle liste regionali (perché regionali? Boh!). Le prenotazioni possono farsi solo in poche regioni, non in tutte: ennesima ripugnante discriminazione. Il ministro della Salute, distaccato e assente, tace. I presidenti di Regione si accapigliano per farsi belli a rivendicare meriti che non hanno. I commissari straordinari neppure si scusano ma accampano risultati inferiori ai loro doveri.
Nessuno pagherà purtroppo per tali disservizi e ritardi e inadempienze che generano colposamente (intendo in senso penalistico non meno che politico e morale) centinaia di morti. La popolazione assiste attonita al fallimento delle istituzioni centrali e regionali, che agiscono “per intervalla insaniae”, consapevoli solo a parole dell’esiziale urgenza di provvedere. Questa dev’essere per Mario Draghi la priorità delle priorità. Non aspetti il pungolo dei partiti, che hanno la coda di paglia. Decida! Decida! Decida! Salvi più che può gl’Italiani in pericolo.
di Pietro Di Muccio de Quattro