lunedì 1 febbraio 2021
Intrecciati come serpi in primavera due fatti sono capitati assieme quasi lo stesso giorno: l’inaugurazione dell’anno giudiziario e il libro di Alessandro Sallusti su Luca Palamara (rectius, di Palamara sulla giustizia). Le relazioni del presidente e del procuratore generale della Cassazione non trasudano neppure l’ottimismo di maniera, mentre le rivelazioni (?) di Palamara sono pessimismo allo stato puro. I due più alti magistrati dell’ordine giudiziario hanno elencato i mali della giustizia ripetendo grosso modo le denunce annuali dei loro predecessori. Cambiano le norme processuali e amministrative sulla giurisdizione. Cambiano i ministri. Non cambiano i risultati. Talvolta questo genere di relazioni, nelle quali i vertici della giustizia di fatto giudicano sé stessi, contengono vere e proprie ipotesi di reato. Non un elenco corto, bensì lungo e dettagliato: omissioni, ritardi, errori, negligenze, imperizie. Poiché non desidero apparire un commentatore esagerato, vi confido che, da deputato al Parlamento, un anno presi la relazione di un procuratore generale di corte d’appello e la trasmisi come “esposto-denuncia” alla procura della Repubblica in sede affinché valutasse i reati all’apparenza ravvisabili e procedesse contro gli eventuali responsabili. Uno degli innumerevoli paradossi della giustizia italiana sta nel fatto che a denunciarne i mali sono gli stessi magistrati che l’amministrano in nome del popolo. Il quale popolo non riesce a raccapezzarsi in tutto questo, mentre il triangolo dello status quo (parlamentari, magistrati, avvocati) non può adottare i rimedi risolutivi perché ciascuna categoria invoca solo quelli non a proprio danno.
I magistrati sono soggetti “soltanto” alla legge, prescrive l’articolo 101 della Costituzione. Ma non è vero. I magistrati, come tutti gli esseri umani, sono soggetti anche all’ambiente in generale o, come a riguardo scrisse Leonardo Sciascia, al “contesto” in particolare. Il profeta di Racalmuto aveva già anticipato cinquant’anni fa il sistema politico clientelare dedito più a sistemare i propri interessi che a servire gl’interessi della giustizia. Non a caso il libro di Sallusti e Palamara è intitolato “Il sistema”. Sebbene quel che rivela l’ex magistrato, la cui radiazione è tuttavia “sub iudice” perché in Italia le procedure sembrano infinite, non sia affatto una rivelazione, cioè il disvelamento effettivo di qualcosa prima relegato nell’oscurità, tuttavia i riferimenti ai fatti ed ai personaggi non sono involontari e contemplano vicende realmente accadute, per quanto è facile prevedere che certi specifici dettagli daranno luogo ad ulteriori accertamenti e contestazioni per via giudiziaria.
È sorprendente constatare che la “palamareide” e le relazioni degli altissimi magistrati hanno lo stesso oggetto ma non s’intersecano quasi mai. Sembrano pianeti ruotanti su orbite diverse intorno alla stella affievolita della Giustizia. Se i magistrati del Consiglio superiore della magistratura e i magistrati che esso prepone agli uffici dirigenziali degli organi giudiziari sono scelti con il “metodo Palamara”, nessuno può stupirsi che la giurisdizione sia amministrata nei modi che gli stessi magistrati lamentano, come se non fosse cosa loro. Tra l’altro, non esiste il pesce fresco con la testa maleodorante.
di Pietro Di Muccio de Quattro