venerdì 15 gennaio 2021
Le polemiche sulla gravità e, anche, sulla opportunità della crisi di governo, a dispetto della superficialità con la quale vengono affrontate, non possono farci dimenticare il terreno su cui la crisi si svolge e la cornice perimetrale che lo delimita.
In questi giorni, ho sentito più volte parlare della parlamentarizzazione della crisi in termini eventuali ed opzionali: come se Governo e Parlamento fossero due monadi e non, invece, la metafora dell’endiadi.
L’unico punto di riferimento al quale dovremmo ispirarci è l’articolo 94 della Costituzione, secondo il quale “il Governo deve avere (sempre, in ogni istante) la fiducia delle Camere”.
Quello che accade fuori dal contesto parlamentare è politica, notizia o pettegolezzo, ma non ha alcun rilievo.
Ora, io capisco che il diritto, all’insediamento di questo (come di altri) esecutivo, se la sia data a gambe levate. Questo non significa, però, che la Costituzione, come alcuni pensano, sia una sorta di linea guida derogabile ad usum delphini o un vademecum per iniziati.
Crisi è ciò che consegue al venire meno della fiducia, non al conteggio giornalistico dei possibili voti pro o contro. Questo, semmai, è la condizione che dovrebbe imporre al Governo di recarsi immediatamente in Parlamento, per riferire ufficialmente le mutate condizioni politiche.
Che cosa accade, invece, qui, da noi? Accade che, alle dimissioni di due ministri seguono un Consiglio dell’esecutivo a ranghi ridotti in cui vengono assunte decisioni e una lunga serie di annunci via Twitter o Facebook. Poi, finalmente, a qualcuno viene in mente che la crisi può essere “parlamentarizzata”.
In Parlamento, da lunedì, andrà in scena il valzer delle dichiarazioni dei leaders, ma della dimensione reale (quella costituzionale) della crisi non sentiremo parlare.
Il nocciolo della questione sta, tutto, qui: la vera partita si gioca fuori dal Parlamento, sui giornali, in tv, sui social. Ora, apprendo, anche sul centralino di Palazzo Chigi, intasato dai fans del PdC.
Fermo il dovere di informare (cui corrisponde il nostro diritto di essere informati), il Presidente del Consiglio ed i suoi si sono abbandonati alla divulgazione propagandistica, relegando in posizione ancillare il vero destinatario delle loro parole: le Camere.
È così. La nuova – maledetta – cultura promossa dai coerenti ideologi del partito di maggioranza relativa ha obnubilato le menti di tutti, anche di coloro che, per formazione, avrebbero dovuto dire: e il Parlamento?
Il Parlamento, lo dico io, è come il Partito Democratico. Mai col Pp. Se non ti serve per smantellare quel che resta della Repubblica descritta dalla Costituzione del 1948.
di Mauro Anetrini