Le necessarie garanzie per la vaccinazione (obbligatoria?)

giovedì 7 gennaio 2021


Nel dibattito pubblico di questi giorni, emerge la disputa di una possibile previsione legislativa dell’obbligatorietà del vaccino. Non vogliamo, in questa occasione, discutere degli aspetti scientifici sui limiti/dubbi di efficacia del/dei vaccino/i.  Non vogliamo trattare di trial clinici con bias né porre domande, ancora drammaticamente aperte, alle quali, per ovvie ragioni, non possiamo rispondere e, precisamente:

1) Il vaccino è in grado di bloccare la pandemia evitando la trasmissione da persona a persona?

2) Se il virus muta (ed essendo un virus a mRna, ciò è molto probabile, come la cosiddetta variante inglese o, da ultimo, quella sudafricana confermano), sono in grado i vaccini attuali di garantire una copertura verso le forme di virus mutato o saremo costretti ad un vaccino stagionale, come per il virus dell’influenza, di cui il Covid-19 è parente stretto?

3) Per quanto tempo il vaccino garantisce l’immunità dall’infezione? Tutte domande ancora premature.

Vogliamo invece soffermarci sugli aspetti organizzativi, che sono altrettanto, o forse più, critici e pericolosi di quelli scientifici. Certamente l’aspetto logistico, poco dibattuto e sottovalutato ed in cui, purtroppo, l’Italia non brilla, ha già messo in seria difficoltà altri Paesi, che, per storia, cultura e tradizione, sono più organizzati. Ammesso che i vaccini siano molecole efficaci, occorre sottolineare, nel silenzio generale, sintomo evidente di superficialità, un altro aspetto fondamentale per garantire che tali molecole restino efficaci e non diventino pericolose: la loro conservazione. I vaccini sono assai termolabili e quindi l’Autorità pubblica deve garantire un’idonea “catena del freddo”, che assicuri il mantenimento del prodotto ad una adeguata temperatura costante, come indicato dal produttore, lungo tutto il percorso che va dalla produzione alla somministrazione, comprese le fasi di trasporto e di stoccaggio. Tale mantenimento è necessario per evitare processi di scongelamento, anche parziale, che causano il deterioramento delle proprietà del prodotto farmaceutico da somministrarsi.

La gestione della “catena del freddo” è disciplinata, per gli alimenti, dalla normativa Haccp (Hazard analysis critical control point) – di cui ai Regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio numeri 852, 853, 854 e 882 del 2004, come tali direttamente applicabili in tutti i Paesi dell’Unione europea, integrati, in Italia, con l’apparato sanzionatorio e di dettaglio di cui al Decreto Legislativo 6 novembre 2007, 193 – che è volta a tutelarne la salubrità, prevedendo che per garantire una adeguata “catena” siano identificati punti critici di controllo; definite ed eseguite le procedure con verifica della temperatura, usando strumentazione idonea e certificata; registrate le informazioni ritenute critiche, per permettere una adeguata tracciabilità; rese disponibili e comunicate tali registrazioni, per garantire la sicurezza del consumatore.

La “catena del freddo” deve essere quindi garantita, documentata, tracciabile e comunicata per i prodotti alimentari e, quindi, a maggior ragione, per i prodotti farmaceutici, ancor più legati alla salute degli individui, diritto fondamentale costituzionalmente protetto dall’articolo 32 della Carta, quale presupposto di ogni altro diritto siccome manifestazione del diritto alla vita! In aggiunta, la “catena del freddo” incontra una serie di complicazioni, poiché le temperature di conservazione richieste sono molto basse. Infatti, un prodotto alimentare congelato è conservato a circa -20 greadi, mentre alcuni vaccini devono essere conservati a -70 gradi. Ci si chiede se il Sistema sanitario nazionale sia in grado di ottemperare ad un così rigido ma necessario procedimento, al fine di garantire la tutela della salute delle persone e se sia in grado di dimostrare la sua idoneità in tal senso.

In proposito, non basta un consenso (dis)informato (molto discutibile), con frasi liberatorie del tipo “non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza”, magari dovuti a modalità di conservazione del prodotto non adeguate. Ne consegue che l’obbligatorietà del vaccino deve innanzitutto confrontarsi con le analisi scientifiche sull’efficacia e la sicurezza, che richiedono tempo per essere attendibili (e il tempo non è stato concesso, al di là dell’approvazione, “condizionale” all’assenso dell’Autorità politica e già questo è significativo, per il vaccino Pfizer-BioNTech, dell’Autorità americana Food and Drug Administration, Fda, il 12 dicembre, di quella europea European Medicines Agency, Ema, il 21 dicembre e per il vaccino AstraZeneca, di quella inglese Medicines and Healthcare products Regulatory Agency, Mhra, il 30 dicembre, che però non può superare l’ineludibile periodo di sperimentazione, concentrato in un numero di casi ancora insufficiente). Dipoi il prodotto deve essere garantito nella sua conservazione e distribuzione, che non possono essere lasciate all’improvvisazione, ma adeguatamente programmate. Questi sono i problemi sul tappeto, ma le risposte ancora purtroppo contraddittorie ed evanescenti. Come al solito, il tempo sarà galantuomo.

(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino

(**) Già Docente di Cardiologia all’Università di Brescia e di Organizzazione sanitaria all’Istituto universitario di Studi superiori di Pavia


di Daniele Granara (*) ed Evasio Pasini (**)