martedì 22 dicembre 2020
Non era sfuggito, soprattutto a chi di mass media se ne intende, vedi Aldo Grasso sul “Corriere della Sera” l’impasse nell’ultima e incerta conferenza stampa del premier, Giuseppe Conte, l’unica durante la quale ha avuto un’impennata con una giornalista. In realtà, in quella conferenza Conte illustrava l’ennesimo Dpcm la cui natura era e continua ad essere una sorta di labirinto di una fraseologia che passava di volta in volta dal politichese all’avvocatese. Occorre tuttavia aggiungere che questo tempo di Covid, con le sue curve, è una sorta di entrata ed uscita coi trapassi ottimistici e pessimistici marchiati dalla fatalità di una pandemia instabile, soggetta a modifiche e ad interpretazioni a loro volta sfuggenti, cui la stessa scienza appare divisa ma che, proprio per questo, toccherebbe alla politica sbrogliare. Compito non facile, ma che con il responsabile del nostro Governo viene ulteriormente complicato perché, proprio in questo decreto, i divieti, le indicazioni e le raccomandazioni subiscono analoghe curve, si inerpicano sulle salite delle parole, invece di chiarire confondono, e al posto di fissare un cammino più o meno obbligato, si trasformano in una sorta di Risiko bisognoso di interpretazioni. Sono venuti a mancare quei punti fermi che al cittadino immerso nella drammaticità pandemica che ha sconvolto riti, usanze, incontri e affetti, sono indispensabili e ai quali debolezze e inadeguatezze governative non danno risposte chiare, sia per il presente che per il futuro. Manca un’idea del futuro e si rischia di rimanere in un mondo alla rovescia.
Le risposte, quelle tipicamente politiche, sono fino ad ora mancate da parte di Giuseppe Conte, incalzato da giorni e giorni dalle richieste ultimative, veri e propri ultimatum di Matteo Renzi, cullandosi nella doppia illusione che questo Governo non ha alternative e che i due alleati Partito Democratico e M5S ne ribadiscono stabilità e continuità. Il problema per il premier è che nei due alleati gli umori esterni e interni si vanno cambiando e se il partito di Nicola Zingaretti sta seguendo, sia pure prudentemente, le orme renziane per una verifica o rimpasto, quello pentastellato è scosso dalla vicenda di una Virginia Raggi per la quale le compiaciute previsioni giustizialiste assicuravano una condanna e un suo ritiro dalla competizione in Campidoglio, invece l’assoluzione riapre ferite interne e scenari inediti, anche per il Pd.
La parola crisi, inaudita per Conte, è pronunciata fra mille distinguo, e persino le dichiarazioni di un cautissimo Dario Franceschini, di pura scuola democristiana, ne hanno pronunciato la inevitabile sequenza qualora aperta e, obbligatoriamente seguita da elezioni anticipate dall’esito devastante per Renzi ma felice per Conte, attualmente favorito nei sondaggi e per di più “uno nato con la camicia”. Un messaggio di lettura non difficile, che la consumata cattiveria democristiana alterna fra un’assicurazione di fedeltà ad una previsione che ad un Conte bis non seguirà un Conte ter. Ma con un avvertimento: che “in caso di crisi sarebbe opportuno prendere la strada più lineare”. La stessa che va minacciando Matteo Renzi. Uomo avvisato mezzo salvato, dice il proverbio. Ma la curva politica per Giuseppe Conte è di quelle più pericolose.
di Paolo Pillitteri