venerdì 18 dicembre 2020
Le massime di Giulio Andreotti, ma non la sua esperienza politica, sono tornate di moda in questo scorcio, forse terminale, di Seconda Repubblica. Chi se ne è intitolato il merito è indubbiamente Giuseppe Conte, ma anche molti altri non scherzano. Questa crisi, più o meno annunciata, più o meno in atto, ne è l’esempio più eclatante insieme alle frasi, alle parole, ai termini che la Prima Repubblica aveva lanciato e illustrato: verifica, crisi al buio, Governi aperti, convergenze parallele, ampie maggioranze, compromesso storico, indicazioni che sembravano appartenere ad una preistoria, insultata dal nuovo che avanza(va) ma poi, di mano in mano, entrate nella prassi della politica “nuova” ma senza un briciolo di dignità rispetto a prima.
Ed eccoci all’andreottismo di seconda o terza mano, eppure significativo di una sorta di vuoto, di buco nero in cui s’è infilata la politica nel suo complesso ma, soprattutto, quella governativa .Il fatto è che questa specie di crisi vede protagonisti Conte e Matteo Renzi i quali, più il primo che il secondo, non hanno chiare le vie d’uscita non sapendone indicare lo sbocco fra rimpasti o dimissioni respinte a priori (Conte) e abbandoni di ministri annunciati (Renzi) come in una partita a ping pong alla quale assiste, sfiduciato, un Paese sull’orlo di una nuova debacle pandemica. I colpevoli ritardi a proposito di zone rosse, di lockdown più o meno morbidi ma sempre rinviati, ne rendono ancor più nevrotica l’attesa e, al tempo stesso, sono l’ennesimo segnale di una impotenza che rischia di contaminare l’intero contesto. Da ciò alcune vie di fuga (vedi quella implorata per Mario Draghi) che manifestano una implicita incapacità di scelte concrete in favore di ennesimi rinvii, di fughe in avanti, perché stanno mancando le spinte ideali necessarie per un recupero della politica tout court, la vera e unica strada maestra.
Sicché, a meno di colpi di scena prossimi venturi, l’andazzo contiano proseguirà nei suoi passi, ancorché incerti, facendo melina con la tattica che lo contraddistingue: sfuggendo alle risposte a proposito di quel cambio di metodo e di merito richiesto da Italia Viva (e non solo) permanendo la sua propensione all’accentramento dei poteri, le incertezze sul Mes, le contorsioni sull’utilizzo del Recovery fund, gli scavalchi sistematici del Parlamento, le pervicaci insistenze sulla pioggia di bonus nel solco di un assistenzialismo demagogico e populista che, proprio Draghi, ha bocciato perché dannoso e assolutamente improduttivo. Eppur si muove, sta dicendo qualcuno. Purché non sia un moto non solo al rallentatore ma una marcia indietro causata, in primis, da una compagine governativa indecisa su tutto e col freno tirato a mano da un M5S sempre più impegnato nella difesa di rendite di posizione (di potere) e di mediocri supponenze ideologiche. Ragion prima di quel tirare a campare.
Nel suo complesso dall’opposizione, dopo sbandamenti e oscillazioni, potranno derivare ragionamenti e iniziative, strategiche e non occasionali, in grado di offrire una piattaforma ampia e possibile su cui innestare disegni e progetti per un domani che è già cominciato. Chi si muove più di tutti è l’ex presidente del Consiglio, suscitando attese e interesse pensando anche all’ipotesi che la tattica di Conte nel contrastarlo si trasformi in una buccia di banana. Qualcuno ha ottimisticamente esclamato: “Matteo facci sognare. Sì, ma facci anche capire”.
di Paolo Pillitteri