martedì 15 dicembre 2020
Siamo Italiani perché parliamo la stessa lingua o parliamo la stessa lingua perché siamo Italiani? Inglesi, Scozzesi, Gallesi sono tre nazioni con una lingua ed uno Stato. L’Italia per secoli fu nazione con più Stati, nei quali l’italiano era parlato da sparute minoranze. La Svizzera è una nazione ed uno Stato dove si parlano almeno tre lingue ufficiali. L’Unione Europea è una babele dentro un embrione di Stato. I Sardi hanno una lingua ma non uno Stato. Gli Spagnoli parlano tre lingue ma hanno un solo Stato. Quando uno Stato usurpa territori, li nazionalizza innanzi tutto imponendo la propria lingua. Confucio diceva che, quando le parole perdono il significato proprio, il popolo perde la libertà. L’italiano non ha più lo smalto classico. È una giungla lessicale infestata da fraseggi sconclusionati e parole sghembe. Forse perciò anche la nostra libertà non se la passa tanto bene? Siamo linguisticamente modificati perché stiamo perdendo i connotati nazionali? Che dire delle università che laureano studenti italiani mediante corsi di studio impartiti in lingua straniera? E del Parlamento nazionale dove il latino “deficit” viene deturpato nell’inglese “difaisit”?
Celebriamo quest’anno i 700 anni dalla morte di Dante e già prepariamo le celebrazioni per i 750 anni dalla nascita. In onore del sommo Poeta stiamo per aprire pure il museo della lingua italiana, vanto del Governo e del ministro della Cultura. Dobbiamo solo sperare che l’apertura del museo dell’italiano non coincida con il funerale dell’idioma del quale Dante fu sempre considerato il padre. L’italiano parlato dalle classi acculturate costituisce ormai una poltiglia linguistica fatta di anglicismi, espressioni oscure, vocaboli stravolti, grammatica e sintassi approssimative. Per classi acculturate possiamo intendere quelle persone che hanno ricevuto un’istruzione e sanno comunicare. Ma come? Con un idioma che sta diventando gergale, con una sorta di neolingua difficile e spesso impossibile da capire per le classi meno o male acculturate. Una buona metà d’Italiani non comprenderebbe appieno il contenuto dei giornali. E quindi è ipotizzabile che non comprenda del tutto neppure le informazioni radiofoniche e televisive, a meno che non riguardino fatuità e calcio, materie che affetta di conoscere orecchiandole. Le classi acculturate hanno creato una cesura linguistica con la popolazione. Parlano per capirsi tra loro anziché per farsi capire. Non storpiano soltanto l’italiano ma pure l’inglese, con il risultato di adulterare due lingue parlandone una sola. Oggi il problema delle false notizie è meno grave del falso italiano. Con il vero italiano se ne va pure la parte genuina dell’identità degl’Italiani. Lo spirito di un popolo è inseparabile dalla lingua. Non esiste una nazione che giunga ad esprimersi con il vocabolario di un’altra o, peggio, intrecciandone due.
di Pietro Di Muccio de Quattro