lunedì 14 dicembre 2020
Chiunque sia chiamato ad esprimere il suo giudizio sulla condotta di una persona sa che non potrà sottrarsi dal formulare a se stesso la domanda se la decisione emessa corrisponda o no a Giustizia, essendo quello il fine perseguito. Allo stesso modo, chi si confronterà con il verdetto, per valutarlo, si chiederà istintivamente se sia giusto.
Sembra tutto semplice, ma non lo è. Il fatto è che noi non sappiamo che cosa sia – davvero – la Giustizia e, purtroppo, siamo orientati a darne una definizione condizionata dai nostri pregiudizi ideologici, culturali, o addirittura politici e religiosi. Confondiamo i concetti di legge e di Giustizia, tristemente.
Alf Ross, sulla scia tracciata da Kelsen, si soffermò a lungo sulla questione, giungendo a conclusioni che, a distanza di anni, continuo a ritenere condivisibili. Disse, ad esempio, che una cosa sono le regole del gioco degli scacchi, mentre altra cosa è la strategia di gioco. Una bella mossa, dunque, è tale a condizione che sia conforme alla regola. Un arrocco consentito, sebbene inefficace, mai potrà essere considerato sbagliato. Magari, non piacerà, ma non sarà una violazione della regola. Ho ispirato tutta la mia vita a queste semplici proposizioni, facendo della regola di legge il punto di riferimento necessario di ogni mia iniziativa.
L’ho fatto per scongiurare il rischio che le mie convinzioni morali potessero piegare i precetti e diventare strumento di oppressione, illiberale.
Quando vedo un ministro reagire ad una decisione che non condivide, mi domando, prima di tutto, se si sia chiesto se il verdetto venne pronunciato in violazione della legge. Quando mi accorgo che il dissenso del ministro scaturisce dai suoi principi morali (uno dei quali è: condannate comunque gli assassini), mi vengono i brividi, e comincio a pensare che, nonostante tutto, il mio formalismo, con tutti i limiti della teoria alla quale si ispira, non farà mai del male a nessuno, a differenza del livore inquisitorio e giacobino di questo ministro, che non ha mai avuto la fortuna di incontrare Locke sulla sua strada e che – temo – se lo avesse incrociato, non lo avrebbe riconosciuto.
di Mauro Anetrini