martedì 8 dicembre 2020
Se le politiche governative erano necessitate, non c’è merito; se non erano necessitate, c’è demerito. Questo è il dilemma in cui versano il Governo e la maggioranza. Il presidente Giuseppe Conte, essendo digiuno di politica attiva e per di più avvocato, ha frapposto tra sé e gli altri, gli amici-nemici della maggioranza e delle Camere, una corazza di diffidenza all’opposto della relazione fiduciaria che deve (dovrebbe?) intercorrere tra Esecutivo e Parlamento, doverosa viepiù quando la collettività versa in gravissimo pericolo. La naturale vanità, che umanamente suole affliggere chi venga catapultato dalla cosiddetta vita civile al vertice della nazione, ha portato Giuseppe Conte ad oscillare tra albagia personale e sottovalutazione degli eventi. Non sembra rendersi conto di giocare una partita storica, come emerge dall’inconsapevolezza di cadere nel patetico, un guaio in generale per i politici ma addirittura esiziale per un capo di Governo. Le sue conferenze a reti unificate per spiegare con precisione puntigliosa eppure farraginosa, da caporale di giornata, cosa il “cittadino-recluta” possa o debba fare nell’alternativa tra marcare visita e cella di rigore, sono uno spettacolo inappropriato alla drammaticità della pandemia. Il presidente Conte, che ha in tasca un commissario per ogni incombenza, non ne trova uno per l’incarico di spiegare a quali regole attenersi per schivare il virus. Ecco, le sue esibizioni non sono necessitate. Dunque può dirsene che, non essendo necessitate, siano sbagliate in sé e controproducenti perché problematiche. Mentre assume in presa diretta, abbagliato dalla comunicazione televisiva, la responsabilità di comunicati che solo l’eccezionalità, non la routine, renderebbe appropriati alle contingenze, delega ad altri molte incombenze decisive, come la vaccinazione di massa contro il Covid-19.
Com’è stato possibile che il presidente Conte delegasse ad un manager del parastato, non propriamente brillante nell’approvvigionamento delle mascherine, l’operazione più complessa e decisiva per la salute degl’Italiani? Non lo ha sfiorato l’idea che avrebbe dovuto investirne per competenza il ministro della Salute oppure un ministro ad hoc, un ministro senza portafoglio, che in ragione di tale rango istituzionale potesse assumerne la responsabilità politica, ministeriale e costituzionale, condividendola con il presidente del Consiglio ai sensi dell’articolo 95, primo e secondo comma, della nostra Carta. Dunque della nomina del commissario straordinario può dirsi che, non essendo necessitata, sia stata sbagliata in sé e scorretta.
La diffidenza, forse alimentata da insicurezza e paura di fallire, deve aver spinto Giuseppe Conte a rilasciare una patente d’incompetenza all’intera struttura di vertice della Pubblica amministrazione, avocando a sé di fatto attribuzioni che esorbitano dai poteri della presidenza del Consiglio. Della costruzione entro le mura di Palazzo Chigi di una piramide di funzionari e tecnocrati sotto la sua guida, neonominati o distaccati, con il compito d’impiegare e distribuire i fondi europei per la rinascita, altresì può dirsi che, non essendo necessitata, sia sbagliata e pericolosa per la confusione e i malpensieri che ingenera. Facile prevedere conflitti di competenze tra uffici ordinari e straordinari, considerata la giungla di leggi e regolamenti. Difficile scacciare il sospetto che Palazzo Chigi abbia giudicato insicuro “commissariare” il tesoro europeo quanto custodirne all’esterno il forziere.
di Pietro Di Muccio de Quattro