Patrimoniale: né domani né mai

martedì 8 dicembre 2020


La schiena di milioni d’italiani è percorsa da un brivido: la patrimoniale. Alcune “piccole patrimoniali”, in verità, gli italiani già le sopportano, ma adesso temono l’introduzione di un’imposta generale su tutti i beni: case, comprese quelle di abitazione, denaro, oro, azioni, obbligazioni, fondi, almeno se eccedenti un determinato ammontare.

È probabile che questo timore, per ora, non si trasformi in realtà. La seconda ondata della pandemia e la montante crisi economica hanno indebolito il Governo, e i partiti di maggioranza sono divisi tra loro e al loro interno. Sebbene Nicola Fratoianni, di Liberi e Uguali, insieme a Matteo Orfini, del Partito Democratico, abbiano formalmente proposto al Parlamento di istituire un prelievo su case e risparmi, e Beppe Grillo e Pierluigi Bersani abbiano sposato l’idea, è difficile che il progetto si realizzi.

In questo contesto è anche improbabile che il governo innalzi l’imposta di successione o che introduca un prelievo istantaneo sui conti correnti, come fece la notte del 10 luglio 1992 quello guidato da Giuliano Amato.

Sonni tranquilli, allora? Nient’affatto. Solo domani la patrimoniale forse non vedrà la luce, ma dopodomani è senz’altro possibile che la veda, anche perché il patrimonio accumulato dalle famiglie è gigantesco e può far venire l’appetito a tutti gli statalisti: quasi 11mila miliardi, di cui 6mila in immobili e 5mila in ricchezza mobiliare, di cui oltre mille in denaro contante.

Ricercare la sua radice ideologica e interrogarsi sulla sua “utilità”, allora, rimane essenziale. L’idea di tassare i patrimoni in via ordinaria, alla quale Fratoianni, Grillo e gli altri sembrano rifarsi, fu “perfezionata” a cavaliere tra ‘800 e ‘900 da Adolph Wagner, un economista tedesco dalle idee di sinistra, che riprese largamente il pensiero marxista. Il nocciolo della teoria è questo: siccome il patrimonio non si consuma e anzi incrementa di valore, a differenza della forza fisica dei lavoratori che nel tempo diminuisce, la sua tassazione potrebbe finalmente “ristorare”, proprio, la componente lavoro. L’illusione ideologica della patrimoniale, stringi stringi, sta in questo e su questo si è retto il mito della sua capacità di redistribuire le ricchezze da “chi più ha” a “chi meno ha”. Si è costruito il mito della sua equità.

Squarciando questo velo, invece, si vede che, almeno nell’età contemporanea, le cose stanno diversamente. Non solo il patrimonio si può consumare sotto forma di perdita di valore, ma può perfino “scomparire” dato che la globalizzazione dei mercati lo rende facilmente trasferibile da una parte all’altra del pianeta. Non solo i suoi rendimenti possono essere irrilevanti, ma può perfino costare molto mantenerlo. Quel che più conta, però, è che l’imposta non è equa, ma iniqua in sé.

Per prima cosa colpisce ricchezze già tassate all’origine nella veste di reddito. Il patrimonio, infatti, altro non è che reddito “avanzato” alla tassazione e non speso, anche fosse ereditato. Pure in questo caso, all’inizio della “catena” c’è quasi sempre il lavoro di chi lo ha prodotto – le attività dell’imprenditore e del professionista sono forme di lavoro – e perciò anche l’imposta sulle successioni finisce per colpire più volte il reddito “avanzato” alle tasse originarie.

L’imposta, inoltre, può diventare “espropriativa” di una porzione del patrimonio se supera il guadagno da esso garantito, come accade quando i rendimenti, pur formalmente attivi, sono in realtà negativi o inferiori al prelievo stesso.

Dal punto di vista costituzionale questi effetti non sono facilmente censurabili, almeno stando al pensiero della Corte costituzionale. Sono invece intollerabili in termini economici, sociali e politici. Intolleranza che aumenta se si considera che la patrimoniale è pure bugiarda. Sì, bugiarda, come scrisse Luigi Einaudi nel 1946.

È un Pinocchio perché promette quel che non può mantenere. Promette di aiutare “chi meno ha”, ma in realtà, poiché la redistribuzione non avviene quasi mai con le tasse, ma con la spesa pubblica, si limita a togliere a “chi ha”, senza poter garantire che le risorse prelevate arrivino a chi ha bisogno. Promette di risanare i conti pubblici, ma, a meno che non colpisca qualsiasi risparmio e sia a tal punto elevata da diventare simile alla confisca, deve essere giocoforza lieve. E se lieve, è inidonea al risanamento. Promette di incrementare la progressività del sistema colpendo le grandi ricchezze, ma questo effetto lo raggiungono molto più facilmente ed equamente le imposte sui redditi.

Se calata nel sistema attuale così com’è, il solo motivo che la potrebbe rendere ammissibile, nella forma di imposta straordinaria, è il rischio di default o l’impossibilità per lo stato di trovare fonti alternative di approvvigionamento del denaro. La patrimoniale è come un laccio emostatico applicato alle finanze pubbliche. Altrimenti non ha giustificazione, che non sia ideologica.

(*) agiovannini.it


di Alessandro Giovannini