Decreto ristori e processo penale

lunedì 9 novembre 2020


Nel mentre il Governo nato per fronteggiare l’incipiente “pericolo fascista” si trastulla con i commissari alla sanità della Calabria (tranquilli, c’è libero Napo orso capo, a curriculum ci siamo; il tempo di rendersi contiguo ad un partito o partitino di maggioranza e i giochi sono fatti) ecco che nottetempo si inseriscono in un decreto, beffardamente denominato “ristori”, due norme che riguardano il processo penale. L’una per trasformare il grado di appello in una trattazione scritta senza intervento dei difensori (“sine strepitu advocatorum et forma iudicii” avrebbe detto Bonifacio VIII, il quale, come loro, aveva in uggia le garanzie processuali, ma a, differenza loro, sapeva scrivere e fare di conto), l’altra, per lasciare un presunto innocente in custodia cautelare sine die in ragione (o con la scusa, fate voi) della sospensione dei termini legati all’emergenza Covid.

Si tratta di norme oggettivamente orripilanti, chiaramente sintomatiche di una cultura autoritaria della giurisdizione. Ma non è neppure questo a indignare. Chi qualche libro ha letto sa che neppure il Movimento Sociale Italiano degli anni Settanta, quello che invocava la legge marziale, si è mai sognato di calpestare in maniera tanto spudorata la cultura delle garanzie. I processi fateveli da soli, come nei tribunali dell’Inquisizione spagnola, ma non cianciate di fascismo, che è stata vicenda drammaticamente seria, a differenza vostra.

 


di Massimiliano Annetta