Zingaretti tenta la briscola a denari

sabato 31 ottobre 2020


Nicola Zingaretti, primo sponsor del Governo Conte bis, sente il fiato sul collo della rabbia popolare che sta montando. La ripresa accelerata della curva dei contagi da Covid-19, tra i molti danni, ne ha procurato uno grandissimo alla sinistra: ha messo a nudo il difetto di legittimazione popolare dell’esecutivo targato Partito Democratico-Cinque Stelle-Italia Viva-Liberi e Uguali, nell’affrontare scelte di governo dolorose, senza peraltro avere alcuna certezza che esse producano gli effetti sperati in termini di contenimento dei contagi. Si è nella classica condizione del fiammifero acceso che nessuno, a cominciare da Zingaretti, vorrà avere tra le dita quando la fiamma avrà consumato il legnetto che l’alimenta. Il segretario dem, che vede stagliarsi all’orizzonte primaverile il test elettorale delle Comunali, annusa una brutta aria per le forze di governo. Se all’inizio dell’anno, con la prima fase della pandemia, la reazione della gente era stata nel segno della coesione nazionale e nello stringersi attorno ai vertici istituzionali, oggi la musica è cambiata. E anche quell’agire in solitario del premier, che inizialmente non era dispiaciuto all’opinione pubblica, viene vissuto alla stregua di uno spasmo dell’uomo-solo-allo-sbando, come appropriatamente titolava ieri l’altro “Libero”.

Sul banco degli imputati sono saliti i Dpcm del presidente del Consiglio dei ministri che si sono succeduti nelle ultime settimane. La percezione popolare è stata quella di una sostanziale resa, non soltanto all’insidiosità del virus, quanto all’incapacità conclamata del Governo di implementare un piano organico e coerente di lotta alla malattia, compatibile con la difesa della salute economica del Paese. Ciò che poi ha fatto esplodere la protesta è stata la contezza dei cittadini colpiti dalle misure coercitive, introdotte attraverso la decretazione presidenziale, che la toppa all’inefficienza governativa fosse la chiusura indiscriminata su tutto il territorio nazionale di interi comparti produttivi e la proibizione comminata agli italiani di provare a stabilire un sostenibile equilibrio esistenziale e sociale con il Covid. Di tale fallimento Zingaretti è consapevole. E per non rischiare che fosse principalmente il Partito Democratico a pagare il conto salato dello scontento, ha tentato di sparigliare le carte aprendo al coinvolgimento delle opposizioni.

L’argomento, in linea di principio, ha una sua fondatezza: in una fase emergenziale il dialogo strutturato con le minoranze in Parlamento dovrebbe costituire la via maestra per consegnare al Paese provvedimenti dotati della più ampia legittimazione politica. Tuttavia, come sentenziava una vecchia volpe di cui si avverte la mancanza, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Il segretario piddino, nella lettera affidata a “La Repubblica”, conclude scrivendo: “Il Governo dunque si concentri soprattutto su questo: sull’efficienza e la serietà, sul dialogo e l’apertura con il Paese, le persone le forze produttive e sociali, il tessuto associativo e sul coinvolgimento e confronto con le forze di opposizione”. Parole di senso. Ma, ci domandiamo, l’improvvisa illuminazione che ha folgorato Zingaretti, è sincera? O non è forse il frutto avvelenato di una logica che coltiva l’insano proposito di una chiamata in correità degli avversari politici negli errori compiuti da Giuseppe Conte? Non è che Zingaretti stia pensando di scaricare sulle spalle dell’opposizione una quota di propria responsabilità per il risentimento popolare? È in ballo anche l’occultamento al giudizio dell’opinione pubblica delle palesi incapacità mostrate dagli esponenti piddini di primo piano della compagine governativa. Il caso imbarazzante della ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, braccio destro di Zingaretti nel partito, che non fa o se fa sbaglia, docet.

L’interrogativo si ribalta sui partiti che compongono la destra plurale. Che fare? È la domanda alla quale Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni dovranno rispondere. Finora se la sono cavata denunciando la patologica sordità del premier alle loro profferte di collaborazione nell’interesse del Paese. Adesso che Zingaretti tenta la briscola calando l’asso a denari, non gli si può rispondere col cavallo a bastoni. C’è l’interesse nazionale da tutelare per cui dei leader responsabili non dovrebbero tirarsi indietro, soprattutto se la chiamata dovesse essere accompagnata da un’esortazione a collaborare proveniente dal Quirinale. Di contro, è concreto il rischio per gli oppositori di vedersi risucchiati in un vortice perverso di decisioni subite per senso di responsabilità, ma che fanno a pugni con quel che finora essi hanno proposto agli italiani. Il tutto si regge su un postulato fallace, secondo il quale durante lo stato d’emergenza non si possa cambiare la guida del Governo. Peggio, non si possa chiedere ai cittadini di tornare alle urne per definire nuovi assetti parlamentari. Zingaretti è stato abile nel buttare la palla dall’altra parte del campo. A raccoglierla, per primo, è stato il vecchio leone di Arcore che, in un’intervista di ieri l’altro a “Il Giornale”, ha aperto a una collaborazione di Forza Italia con l’odierna maggioranza. Alla domanda del giornalista “responsabilità fino al punto di garantire al Governo i voti che potrebbero mancare al Senato?Berlusconi ha risposto lapidario: “Nessun voto per salvare il Governo, tutti i voti necessari per fare le cose utili al Paese”. Che un po’ suona come il motto che campeggiava sulla camicia da notte dell’austera consorte de “Il Gattopardo”: “Non lo fo per piacer mio, ma per dare un figlio a Dio”. Il leader di Forza Italia ha una gran voglia di entrare nella partita delle scelte di governo, perché non è nella sua natura restare alla finestra a guardare, proprio quando c’è da fare la programmazione per spendere i denari messi a disposizione dall’Unione europea. Ma c’è una seconda ragione, non meno importante, che sollecita il pragmatismo del leader forzista: un accordo oggi con il centrosinistra creerebbe le premesse per la sua partecipazione alla scelta del prossimo presidente della Repubblica, la cui elezione è prevista per l’inizio del 2022. Mantenere uno stato conflittuale con la maggioranza, ha ragionato Berlusconi, spingerà inevitabilmente la sinistra al colpo di mano per votare il proprio candidato condiviso con i grillini che, com’è noto, potrebbe essere quel Romano Prodi che il vecchio leone di Arcore vede come fumo negli occhi.

Ma ci si può fidare di Zingaretti, di Matteo Renzi, di Beppe Grillo e Luigi Di Maio? Va bene l’ottimismo e la fiducia nella specie umana, ma a tutto c’è un limite. E le esperienze fatte in passato dovrebbero rappresentare un affidabile strumento di misura dell’altrui credibilità. Non dimentichi Berlusconi il tranello tesogli, nel 2015, sulla scelta del capo dello Stato dal “rottamatore” Renzi in pieno feeling da Patto del Nazareno. La fregatura potrebbe essere in agguato. Come in un bizzarro gioco dell’oca fatto di punti interrogativi in luogo delle caselle, si torna alla domanda di partenza: ci si può fidare della sinistra? I leader della destra plurale – tutti – ascoltino la gente. La domanda sostanziale è: gli italiani hanno bisogno che un’opposizione coesa e presente comunque ci sia, per arginare le malefatte di questo Governo o pensano che i partiti di destra e di sinistra, tutti insieme appassionatamente, possano partorire le soluzioni più desiderabili per affrontare la crisi in atto? È nostra opinione che debba essere la risposta a questa cruciale domanda la stella polare da guardare, per proseguire la navigazione in tempi oscuri e contraddittori. Se la maggioranza dei cittadini preferisse che si tenessero ben distinte le posizioni delle parti in campo come controbattere a Zingaretti? Un due di coppe sarebbe la carta perfetta da giocare.


di Cristofaro Sola